In una semplificazione estrema, esistono due modalità di approccio alla realtà e a noi stessi.
La prima è quella di scovare in ogni situazione gli aspetti che ci piacciono e che ci fanno sentire bene, concentrandosi prevalentemente su questi. La seconda è quella invece di concentrarsi criticamente sui “difetti” o sugli aspetti che non ci piacciono, della realtà, degli altri e di noi stessi.
La critica di per sé, ovviamente, non è una cosa negativa, ma molto spesso tende a determinare un atteggiamento polemico che finisce per prevalere su qualsiasi aspetto razionale, incidendo soprattutto sull’umore di chi critica. Nella vita difficilmente le situazioni sono solo positive e piacevoli. Un museo che espone delle belle opere d’arte può avere l’aria condizionata che non funziona. In un ristorante dove si mangia bene può capitare di imbattersi in un cameriere scostante e così via. Rispetto a queste situazioni imperfette, sempre semplificando, alcuni, riescono a godersela nonostante tutto, mentre altri, magari solo per un piccolo dettaglio negativo, si rovinano l’esperienza in toto. Libertà di scelta, si potrebbe commentare. Sta di fatto che mentre i primi, tendenzialmente, si godono la vita, gli altri sono eternamente impegnati a lamentarsi o a condurre battaglie in ogni direzione. Non vogliamo con questo suggerire di adottare un atteggiamento di superficiale menefreghismo, rispetto a quello che riteniamo contrario ai nostri principi. In certe circostanze è opportuno prendere delle posizioni e, perché no, se è il caso, condurre anche delle battaglie in nome di quello in cui si crede. Il punto non è questo, bensì la degenerazione patologica di questo atteggiamento: quando ci si perde il bello della vita, perché sistematicamente impegnati nella critica di qualcosa. Molto spesso poi, chi ha la tendenza a polemizzare su tutto, difficilmente è in grado di concentrarsi in modo serio ed efficace su qualche specifica battaglia.
Allo stesso modo, nelle relazioni, alcune persone hanno la tendenza a trovare dei punti di incontro con gli altri, come interessi e passioni in comune o idee condivise, mentre altre tendono a concentrarsi solo sui difetti altrui, notando più le differenze che i punti in comune. Eppure, con ogni essere umano, abbiamo molti più punti in comune che differenze. Abbiamo lo stesso sistema neuroendocrino, le stesse necessità biologiche. Abbiamo tutti l’esigenza di essere amati, stimati e apprezzati per le nostre capacità. Di appartenere a qualcosa, di avere un nucleo affettivo di riferimento e molto altro ancora. E anche se le persone che conosciamo dimostrano di essere in qualche aspetto “diverse” da noi, forse comunque, potremmo imparare qualcosa di nuovo e venire a conoscenza di nuovi punti di vista o di aspetti della realtà mai considerati. E allora alla fine possiamo dire che è solo una questione di disposizione d’animo. Alla fine si tratta di abbracciare una filosofia o un’altra. Si tratta di decidere se si vuole passare la vita ad amare o a criticare. Certamente stiamo semplificando. Ovviamente si può anche criticare in modo costruttivo. Ma bisogna sapere come farlo, perché statisticamente parlando è molto più probabile che quando si critica, lo si faccia con atteggiamenti accusatori e irritanti, mettendosi su un piedestallo e sentenziando. Avete mai provato a chiedere in modo inacidito a una persona di rispettare una regola di qualsiasi tipo che non ha considerato? Se vi è capitato, avrete notato che la maggior parte delle volte, in quei casi, le cose vanno di male in peggio.
COMUNICARE CON GLI ALTRI IN MODO AFFETTUOSAMENTE EFFICACE
Vivere secondo la strategia dell’amore non significa solo cercare di apprezzare il bello della vita e delle persone, ma anche imparare a comunicare le critiche e le situazioni che ci irritano, o che ci fanno in qualche modo soffrire, in modo “affettuoso” e quindi efficace. Altrimenti continueremo solo a farci del sangue amaro per nulla. Non è facile, nè immediato. Soprattutto se per una vita ci si è comportati in modo diametralmente opposto. Ma come ogni cosa si può imparare a farlo, ecco come.
Per prima cosa, se è possibile, dobbiamo evitare di comunicare la nostra critica quando sentiamo di essere arrabbiati e irritati: rischieremmo quasi inevitabilmente di trasformare la conversazione in una rissa verbale. Una volta riacquistato un umore decente, possiamo entrare in comunicazione con la persona che vogliamo criticare, ma tenendo conto di alcune regole fondamentali. Prima di manifestare la nostra critica sarà utile farci chiarezza chiedendoci che cosa vogliamo ottenere dalla persona che stiamo per criticare. Se non lo sappiamo con chiarezza, sarà facile che la conversazione scivoli pericolosamente in una “lezione” o in una “predica”. Il che porterebbe inevitabilmente il nostro interlocutore a difendersi o, peggio ancora, ad attaccarci a sua volta con critiche nei nostri confronti. L’anticamera della rissa verbale.
Quindi dobbiamo avere chiaro cosa vogliamo ottenere per noi, non per la persona che vogliamo criticare. In genere le persone rifiutano a priori di seguire i consigli fatti in “nome del loro bene”, tendendo in quei casi a vederci come presuntuosi e invadenti. Quindi il segreto sta nel parlare esclusivamente di noi stessi. La critica dovrà assumere la forma di una richiesta, senza che questa significhi un’accusa di alcun tipo. Vogliamo essere rispettati, o considerati per quello che pensiamo di essere o valere? Allora ci converrà chiederlo, piuttosto che offendere o accusare chi ci ha mancato di rispetto o non ci ha preso nella dovuta considerazione.
Facciamo un esempio. Immaginiamo la classica situazione in cui ci siamo rimasti male perché il nostro capo non ha considerato una nostra richiesta, o non ci ha “premiato” per i nostri meriti. Potrebbe averlo fatto per diversi motivi, ma l’analizzarli porterebbe solo nella direzione sbagliata. Ha importanza invece, se ci siamo rimasti male, capire che cosa vorremmo ottenere in future situazioni analoghe. Quindi, piuttosto che spiegargli dove ha sbagliato, cosa da non fare mai, ci converrà parlargli di come ci siamo sentiti in quel frangente e di cosa invece gradiremmo venisse considerato in futuro.
Basterà iniziare con un semplice “Ci sono rimasto/a male perché….”, oppure, “Avrei gradito che….” o ancora “ In futuro apprezzerei molto se …”.
Immaginiamo un’altra situazione, in cui scopriamo che il nostro partner ci ha detto una bugia.
Se riteniamo che il peccato sia veniale e abbiamo l’intenzione, a patto di un chiarimento, di salvare il rapporto, faremo bene ad iniziare la nostra conversazione con un: “Mi sono sentita/o tradita/o”, oppure, “Ci sono rimasta/o male, perché…”.
Insomma, se non vogliamo portare la conversazione sul piano dell’inutile battibecco, ci converrà parlare unicamente di come ci siamo rimasti male noi e di cosa vorremmo invece per il futuro. Solo questa modalità potrà, eventualmente, portare a un chiarimento e motivare il nostro partner a mettersi in discussione. Viceversa, se lo accuseremo o peggio ancora lo offenderemo, continueremo ad ottenere solo delle inutili e faticose risse verbali.
In questo caso dovremo ritornare alla domanda iniziale: “Cosa volevo ottenere? “. Se volevamo un chiarimento e abbiamo invece ottenuto un battibecco, molto probabilmente, non siamo riusciti a parlare solo di noi stessi e delle nostre richieste.