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29 martedì Ott 2013

Ipoallergenici2012

Detersivi e allergie un binomio che affligge principalmente le casalinghe

In qualsiasi ambiente domestico, nascosti molte volte da confezioni rassicuranti, si annidano diverse categorie di prodotti potenzialmente irritanti:  detersivi per superfici o stoviglie, detersivi da bucato a mano o in lavatrice, lucidi da scarpe, detergenti per mobili e molti altri prodotti similari.

Questi prodotti, possono contenere percentuali pericolosamente alte di metalli pesanti, come concentrazioni eccessive di sostanze acide o alcaline, che nel tempo possono causare fastidiose reazioni irritative, soprattutto alle casalinghe o alle persone impegnate nei lavori domestici.

A conferma di tutto ciò, in uno studio – condotto dal Gruppo Italiano di Ricerca sulle Dermatiti da Contatto e Ambientali (GIRDCA) della Societa’ Italiana di Dermatologia e Venereologia (SIDEV) – su circa 43.000 soggetti affetti da  dermatite (www.lapelle.it/dermatologia/dermatiti_delle_casilinghe.htm), la categoria professionale delle casalinghe è risultata la più colpita, seguita da artigiani e  lavoratori del settore edile, metalmeccanici, parrucchieri e personale sanitario.

Nella maggior parte dei casi l’irritazione, o la reazione allergica, causata da un agente chimico, è  capace di indurre un danno cellulare della pelle.  Per quanto riguarda la detergenza, va inoltre considerato il fatto che nei detersivi comuni esistono degli agenti chimici che difficilmente vengono eliminati nella fase del risciacquo. Questi residui chimici vengono infatti assorbiti dagli indumenti lavati, nonostante il risciacquo, per poi sprigionarsi a contatto con la pelle, soprattutto in situazioni di sudorazione. Il sudore innesca infatti una reazione chimica che, in un processo a catena, fa sì che gli irritanti residui chimici, nonché i metalli pesanti in essi contenuti, rimangano a contatto per ore con la pelle determinando una spiacevole sensazione di prurito e in molti casi vere e proprie dermatiti allergiche da contatto.

L’effetto nocivo di molti detersivi comunemente in commercio”- spiega la Dott.ssa Adriana Ciuffreda, dermatologa milanese, specializzata in dermatologia pediatrica “si manifesta primariamente a danno di quella che può essere considerata la barriera della nostra pelle: il film idrolipidico. Quando non è più ben impermeabilizzata e adeguatamente protetta dal suo ‘scudo’ naturale, la pelle diventa più facilmente bersaglio degli agenti patogeni, tra i quali i metalli pesanti – come nickel, cobalto e cromo – contenuti proprio nei detersivi e in molti detergenti per la casa. In alcuni soggetti predisposti, quali ad esempio i ‘wet workers’, ossia coloro che svolgono la maggior parte dei lavori in condizioni di umidità, questa alterazione può provocare una dermatite da contatto, patologia che si manifesta nella maggior parte dei casi con rossore, desquamazione, prurito, micro vescicole ed erosioni. In ogni caso è consigliabile, non trascurando di avviare accertamenti più approfonditi, valutare con attenzione i prodotti che si utilizzano, facendosi, se possibile, consigliare da un dermatologo.”

Per iniziare è importante usare detersivi ipoallergenici sicuri

Per ovviare a questi fastidiosi problemi, un’azienda di Genova ha messo a punto una linea di detersivi, USE Ipoallergenici (www..use.it), formulati per detergere nel completo rispetto della pelle e della salute. La scelta di materie prime diverse da quelle normalmente impiegate dai grandi marchi, ha infatti permesso all’azienda di ottenere un formulato finale certificato – con Pach Test dall’Institute of Skin and Product Evaluation (I.S.P.E.) – come nickel tested, ipoallergenico e non irritante. Consapevole inoltre dei tantissimi casi di avvelenamento, per ingestione incauta, soprattutto da parte dei bambini, l’azienda ha da qualche hanno inserito nei prodotti una sostanza amarissima, priva di ingredienti nocivi, ma così sgradevole al gusto da rendere praticamente impossibile un’ingestione accidentale dei prodotti. Per questi motivi gli USE Ipoallergenici sono ormai indicati da molti dermatologi come prodotti sicuri per la detergenza domestica, da ogni punto di vista.

La linea comprende detersivi per il bucato a mano e in lavatrice, ammorbidenti, detersivi per piatti a mano e persino un detergente nutriente per i mobili e per il legno in genere.

Anche il Ministero della Salute lancia l’allarme: 60.000 richieste di assistenza all’anno

 Il Ministero della Salute nel giugno 2002 ha istituito l’Osservatorio Epidemiologico Nazionale per la Salute e la Sicurezza negli Ambienti di Vita” che ha tra i vari compiti quello di valutare l’impatto chimico e l’effetto clinico, sulle famiglie, delle sostanze contenute nei detersivi, grazie ad un’attiva collaborazione con le principali istituzioni interessate al problema, tra le quali: A.N.P.A. (Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente), ISS-IA (Istituto Superiore di Sanità – laboratorio di Igiene e Ambiente), Ministero Ambiente ARPA, Federchimica-ASSOCASA, C.I.D. (Comitato Italiano Derivati Tensioattivi).

In Italia negli ultimi anni, ci sono state circa 60.000 richieste di consulenza sanitaria per avvelenamenti e reazioni allergiche dovute a contatti per via cutanea e ingestioni.

Ovviamente, in caso di ingestioni incaute o improvvise reazioni allergiche cutanee, come bolle o lesioni eczematose, il consiglio è di contattare il Centro Anti Veleni dell’Ospedale Niguarda di Milano( Tel. 02 66101029) – attivo ogni giorno dell’anno a qualsiasi ora e in grado di fornire i contatti di tutti gli altri CAV presenti nelle maggiori città italiane.

19 mercoledì Giu 2013

ARPS.jpg bassaI nostri rapporti, volendo, possono essere osservati e valutati alla stregua di transazioni. Uno dei modelli analitici di riferimento, in questo senso, è una disciplina, nata alla fine degli anni cinquanta negli USA, dal nome emblematico: “Analisi Transazionale”. Da questo punto di vista, ogni dialogo, ad ogni livello, può essere considerato come una transazione che va a buon fine, definita nel linguaggio dell’Analisi Transazionale, “transazione complementare”, o una transazione conflittuale, definita “transazione incrociata”. Le “transazioni complementari” sono quelle che non ci creano problemi e che ci fanno vivere delle piacevoli sensazioni di armonia e benessere. Sono quelle nelle quali otteniamo ciò che ci aspettavamo. Quelle in cui il nostro interlocutore rispetta le regole di ruolo del “gioco”. Viceversa le “transazioni incrociate” sono quelle nelle quali il nostro interlocutore ci sorprende interpretando un ruolo che ci irrita o che non riteniamo consono alla relazione. Secondo Eric Berne, il fondatore dell’Analisi Transazionale, i ruoli che possiamo essenzialmente interpretare nella relazione con gli altri, sono tre: il genitore, il bambino e l’adulto.
I tre ruoli fondamentali che proponiamo nelle relazioni: genitore, bambino , adulto
Genitore, bambino e adulto convivono in ognuno di noi ed emergono alternativamente a seconda delle circostanze e delle esigenze.

IL GENITORE
Il ruolo del genitore rappresenta, in linea di massima, il mondo del dovere e delle regole. Può avere due valenze, normativa e affettiva. La parte normativa, può esprimersi in modo solare, offrendo indicazioni, insegnamenti e “sani” valori, ma anche trascendere negativamente, criticando sistematicamente, imponendo, rimproverando o anche punendo.
Quella affettiva, a sua volta, può esprimersi in modalità positiva, prendendosi cura, sostenendo e incoraggiando, ma anche negativamente, diventando iperprotettiva e invadente.

IL BAMBINO
Il ruolo del bambino circoscrive la nostra parte emotiva, quella più spontanea, quella legata al piacere, ma anche alla paura. La nostra parte bambina può essere “adattata” o “ribelle”. E’ adattata positivamente quando segue, con piacere, le regole del genitore normativo interiore. Negativamente invece, quando accetta alcune situazioni solo per piacere agli altri, o per un secondo fine. In quest’ultimo caso, se il bambino non raggiunge il suo scopo, può diventare lamentoso interpretando il ruolo della vittima. La parte ribelle a sua volta, è positiva quando rappresenta spirito di intraprendenza, coraggio di battere nuove strade, capacità di reagire alle avversità, negativa, quando lo è in modo sistematico rispetto ad ogni cosa.

L’ADULTO
La nostra parte adulta è quella normalmente definita “razionale”. E’ la nostra mente analitica, che analizza e pondera le circostanze, con un approccio “intellettuale” piuttosto che emotivo.
E’ la parte che non drammatizza, bensì analizza rispetto ai dati che ha a disposizione per trovare delle soluzioni.

IL MONDO DELLE TRANSAZIONI

Le transazioni complementari

Il gioco delle transazioni è complesso quanto divertente da analizzare. Se in ognuno di noi convivono tre personaggi, ciò significa che in qualsiasi relazione a due, per esempio, possono entrare in gioco sei personalità e in modo trasversale.

Ma per capire il meccanismo è necessario fare un passo indietro e partire dalle transazioni complementari quelle più semplici, che ci fanno vivere sereni.
Nelle transazioni di qualsiasi tipo viene, in modo non dichiarato, messo in atto un gioco, utilizzato nelle scuole di teatro in modo esplicito: il gioco del “Chi”, ovvero “Chi voglio che tu sia”. Quando ci rivolgiamo a una persona, in verità, ci aspettiamo di accedere, a seconda delle circostanze, a una parte precisa della sua personalità. A volte vogliamo che l’altro ci risponda con “l’adulto”, quando cerchiamo una risposta ponderata e razionale, altre con “il bambino”, quando abbiamo voglia di spensieratezza, altre ancora con il genitore, se cerchiamo, per esempio, conforto. Se troviamo corrispondenza rispetto alle nostre aspettative la transazione risulta complementare.

Facciamo un esempio:

La moglie dice al marito “ Non so se riuscirò a farcela”
E’ nel bambino e sta cercando una risposta dal genitore affettivo.

Il marito risponde “Ma certo amore che ce la farai, non ho dubbi”.
Risponde con il genitore affettivo. Dandole il conforto che cercava.

La transazione si è conclusa positivamente con soddisfazione di entrambi. E’ una transazione complementare.

Le transazioni incrociate

Ma non sempre le transazioni si chiudono favorevolmente. A volte le nostre aspettative di ruolo vengono disattese con delle “transazioni incrociate”.
Vediamone un paio di esempi:

Il marito chiede alla moglie: “ Hai visto le mie chiavi?”
E’ nell’adulto e vorrebbe un risposta dall’adulto

La moglie risponde: “Ma possibile che non sei mai in grado di ricordarti dove le hai messe?”
Risponde con il genitore normativo incrociando la transazione.

Il capo chiede alla segretaria : “Non trovo più la pratica su cui abbiamo lavorato ieri. Per caso l’ha spostata da qualche parte?
E’ nell’adulto e vorrebbe un risposta dall’adulto

La segretaria risponde: “Ma perché deve sempre dare la colpa a me delle cose che non trova?
Risponde col bambino lamentoso entrando nel ruolo della vittima.
Anche in questo caso siamo di fronte a una “transazione incrociata”. Il capo si sarebbe aspettato una risposta dalla parte adulta della segretaria, e invece riceve una lamentela che potrebbe innescare un meccanismo polemico a escalation.

In altre parole ogni volta che incrociamo una transazione, non abbiamo interpretato correttamente la richiesta di ruolo del nostro interlocutore. Oppure abbiamo interpretato correttamente il ruolo che l’altro ci vorrebbe affibbiare, ma non intendiamo accettarlo.
Nel primo caso, possiamo parlare di una mancanza di attenzione e di ascolto delle necessità altrui, nel secondo invece di un’efficace strategia difensiva. Perché in effetti non sempre è sbagliato incrociare la transazioni.

Quando è utile “incrociare le transazioni”

In molte situazioni ci potrà accadere di trovarci a contatto con delle persone che si arrogano arbitrariamente il diritto di farci “l’interrogatorio”, obbligandoci a interpretare il ruolo di chi deve fornire giustificazioni. In quel caso, se riteniamo che la persona non abbia alcun ruolo e titolo per pretendere da noi spiegazioni di qualsiasi tipo, non dovremo entrare nel gioco. Il fornire infatti delle spiegazioni, ci proietterebbe immediatamente in una posizione di svantaggio, quasi impossibile da recuperare. Ogni risposta, sarebbe infatti motivo per il nostro interlocutore di nuove domande, con l’unico scopo di metterci alle corde. La soluzione in questo caso è incrociare fin dall’inizio la transazione rispondendo all’attacco in modo speculare e quindi rovesciando i ruoli.

Facciamo un esempio:

Utilizzo un dialogo che mi è stato realmente riportato, avvenuto tra 2 soci di una società immobiliare.

Socio A: Vorrei capire perché ti ostini a volerti presentare senza cravatta.
Il gioco impostato dal socio A è del tipo genitore-bambino. Se il socio B rispondesse, rimanendo nel merito, accetterebbe il ruolo del “bambino” che si deve giustificare e si ritroverebbe ad affrontare, in ogni caso, un percorso in salita.

Socio B: Mi spieghi perché ritieni così importante l’indossare la cravatta?
Il socio B incrocia la transazione non rispondendo col bambino, come vorrebbe il socio A, ma col genitore. In questo modo ha attuato un rovesciamento di ruolo impostando un nuovo gioco, nel quale il socio A diventa il bambino che deve giustificare le sue convinzioni. Ora il percorso in salita è per il socio A.

Probabilmente a molti di voi saranno venuti in mente tanti dialoghi, telefonici e non, avvenuti con venditori che avevano messo in atto un gioco genitore-bambino.
Da adesso in poi ricordatevi che se non volete acquistare qualcosa e vi scoccia dover dare spiegazioni, non siete mai tenuti a fornire giustificazioni di alcun tipo. Di fronte ai più ostinati potrete sempre ricorrere a un rovesciamento di ruoli con la fatidica frase:” Perché ritiene che dovrei giustificarle le mie decisioni?” Di solito il venditore a questo punto batte in ritirata, ma nel caso fosse veramente caparbio, il consiglio è di limitarvi a un semplice “Le ho già risposto”. A questo punto è veramente difficile, per non dire impossibile, che la discussione possa procedere.

24 mercoledì Apr 2013

successoIl mese scorso abbiamo descritto i meccanismi con i quali solitamente ci inganniamo, distorcendo il senso degli eventi o attribuendo significati arbitrari ad alcune situazioni che viviamo.
In particolare abbiamo approfondito le dinamiche con le quali, a volte, sabotiamo i nostri sogni e le nostre aspirazioni, condannandoci a vivere dimensioni lavorative o private che non ci soddisfano.
In sintesi abbiamo capito che possiamo osare sempre molto di più’, rispetto ai limiti che ci poniamo, a patto di non lasciarci offendere dai piccoli “incidenti sul percorso” o dalle risposte frustranti, che inevitabilmente lastricano qualsiasi percorso di realizzazione personale.
Anthony Robbins, uno dei “guru” americani della formazione, nel suo primo libro, riporta in sintesi la carriera di Abraham Lincoln, uno dei più importanti e noti presidenti degli Stati Uniti, evidenziandone una serie di insuccessi – fallimento negli affari personali, bocciatura alle elezioni, al Congresso, al Senato, persino nella corsa per la Vicepresidenza – difficilmente attribuibili all’uomo che in seguito sarebbe divenuto il 16° Presidente americano. In effetti la maggior parte degli uomini che hanno raggiunto la posizione a cui aspiravano, in qualsiasi campo, sono persone che hanno avuto la perseveranza di andare avanti a dispetto di qualsiasi parziale insuccesso. Sono individui che hanno considerato gli incidenti sul percorso, non come fallimenti, ma semplicemente come dei risultati, certo non voluti, ma comunque utili per “raddrizzare il tiro”. La differenza sta tutta qui, ma non è poco.

Come sapere quando ne vale la pena

Per quali motivi, quindi, alcuni hanno la forza di perseverare e altri desistono identificandosi nei fallimenti?
Robert Dilts, uno dei maggiori esponenti della scuola americana NLP (Programmazione Neurolinguistica), ha teorizzato, rielaborando la concezione dei livelli logici di un grandissimo antropologo, Gregory Bateson, che l’essere umano, per essere “ felicemente produttivo” debba necessariamente vivere in armonia con le proprie scelte. Non vivere quindi conflitti tra valori, convinzioni e comportamenti. Tornando quindi alla nostra domanda, possiamo dire che gli individui che non “mollano”, ci riescono non perché sono più dotati, ma, in parte, perché hanno scelto meglio i propri obiettivi. In altre parole, le persone che “ce la fanno” sono animate dalla passione, dal sogno, da una “visione” vissuta senza contraddizioni. Lo sono al punto da riuscire a trasformare ogni piccolo insuccesso, in una preziosa lezione: informazioni per fare meglio la volta dopo.
E’ la “fortuna” che capita, per esempio, a chi vive profondamente una vocazione.
Come fare, in sintesi, a capire se saremo disposti a mettere in campo tutte le risorse che abbiamo per un progetto? Un grande contributo può venire dal porci delle domande che ci aiutino ad individuare la consistenza delle nostre motivazioni.

Qual è per me il significato del raggiungere quel determinato obbiettivo?
Che tipo di persona diventerò una volta che l’avrò realizzato?
Perché è importante che arrivi a realizzare quel determinato “sogno”?
Domande fondamentali, per capire se saremo disposti a “soffrire” per arrivare alla meta, per sapere se stiamo “giocando” con la fantasia o intendiamo fare sul serio.
Appurato tutto ciò potremo partire per la nostra avventura, ma non prima di aver pensato a un piano d’azione.

Però poi ci vuole una strategia

Per raggiungere qualsiasi meta è sempre necessario individuare una serie di azioni utili.
Prima di tutto, se si tratta di un obiettivo complesso, dovremo pensare a come dividere il “boccone enorme” in diversi bocconcini. La montagna, per usare un’altra metafora, dovrà essere scalata a tappe, cercando, nel limite del possibile, di commisurare gli obiettivi intermedi alla nostra preparazione. Per frazionare il nostro macro-obiettivo in diversi step, avremo però bisogno di conoscere il contesto in cui intendiamo muoverci. Abbiamo abbastanza informazioni? Se non ne abbiamo la risorsa principale a cui attingere è la capacità di indagare, di chiedere a chiunque supponiamo ne possa sapere più di noi. Altre indicazioni potranno venire da un modello, o più, di riferimento, rispetto al settore individuato. Se vogliamo diventare dei grandi architetti, scrittori, campioni sportivi o qualsiasi altra cosa, sarà utile avere dei “miti” da imitare. Cosa hanno fatto loro?
Biografie, interviste e social network potranno essere d’aiuto per avere qualsiasi tipo di spunto, di traccia utile. Solo allora, quando avremo una visione sufficientemente chiara di come convenga “muoversi” in quello specifico ambito, potremo strutturare una strategia adeguata. Il consiglio in questi casi è quello, date le domande riportate di seguito, di scriversi le risposte, che però dovranno sempre godere del beneficio di inventario.

Nel vivo dell’azione

Ho le competenze, i titoli oggettivamente necessari, in sintesi “le carte in regola” per raggiungere il primo obiettivo e poi gli altri?
Se rispetto a questa domanda scopro di non avere le competenze o i requisiti minimi indispensabili, il mio primo compito sarà dotarmene

In che contesto-ambiente potrò raggiungere il primo obiettivo che mi sono prefisso e poi man mano, gli altri?
Per rispondere a questa domanda sarà molto utile cercare di dettagliare il più possibile la situazione come fosse un film.

Potrò farcela da solo o avrò bisogno di coinvolgere altre persone?
Anche in questo caso converrà dettagliare il più possibile la situazione, definendo, se possibile, chi esattamente dovrebbe collaborare con noi e in che modo.

Quali indicatori mi faranno capire di aver raggiunto ogni obiettivo?
Come per ogni test, avrò bisogno di decidere quali “segnali” mi confermeranno di aver raggiunto la prima tappa e di essere pronto per lo step successivo.

Quali indicatori mi faranno capire se ogni micro-obiettivo è effettivamente utile al raggiungimento della meta finale?
Quest’ultima domanda merita un commento aggiuntivo, in quanto rappresentativa dello spirito critico e flessibile che ogni scuola di comunicazione suggerisce. La flessibilità e la capacità di rimanere critici in corso d’opera sono fondamentali per una piena realizzazione. Confrontare ogni obiettivo intermedio con la meta finale è, non solo funzionale all’ottimizzazione delle proprie risorse, ma anche utilissimo per capire il senso generale di quello che stiamo facendo. Paradossalmente, una volta raggiunta la meta, potremmo scoprire che non ci interessa più o che non ci realizza nel profondo come pensavamo e ambire a qualcosa di nuovo. Ma come avremmo fatto, in quel caso, a scoprirlo se non avessimo fatto tutto il percorso?
Un’ultima precisazione per tutti coloro che trovano difficoltà a individuare una vocazione: prima di metterci in azione per il raggiungimento di una meta è auspicabile essere sicuri che sia in linea con la nostra identità e i nostri valori, ma piuttosto che rimanere nell’immobilismo -come l’asino di Buridano, che non sapendo se scegliere la paglia o il fieno morì di fame – converrà comunque muoversi per un obiettivo, diciamo quello che ci sembra, al momento, il meno peggio. Poi strada facendo le nubi potrebbero diradarsi lasciando emergere piacevoli sorprese.

Articolo di Giulio Santuz

02 martedì Apr 2013

scimmiaAMBIENTE – Gli ecosistemi naturali sono permeati da un fitta rete di interazioni, dirette e indirette, tra i diversi organismi che vi vivono. È stato infatti spesso mostrato come la perturbazione di un elemento possa comportate effetti inaspettati sulle altre componenti della comunità ecologica.

In questi giorni la rivista Proceedings of the Royal Society of London B: Biological Sciences mostra uno straordinario esempio di come le attività umane che si abbattono su un componente della comunità biotica possano avere profonde conseguenze a cascata sull’intero ecosistema. Il caso in esame riguarda la caccia a scopo alimentare dei primati, incluse alcune antropomorfe, in Nigeria: come accade in diverse nazioni dell’Africa centrale, anche qui numerose specie di scimmie sono in rapido declino demografico a causa del continuo prelievo da parte delle popolazioni umane locali, che li chiamano bushmeat.

Lo studio ha confrontato le comunità animali e vegetali di diverse aree forestali suddivise in due categorie: quelle in cui la caccia dei primati è ampiamente praticata e altre situate in parchi naturali, dunque protette da questa minaccia. Oltre a mostrare che nelle aree aperte alla caccia i primati, sia i quelli di grandi dimensioni (gorilla: Gorilla gorilla diehli; scimpanzé: Pan troglodytes ellioti; drillo: Mandrillus leucophaeus) che quelli di piccole dimensioni (cercopiteco nasobianco maggiore: Cercopithecus nictitans; cercopiteco mona: Cercopithecus mona; cercopiteco dalle orecchie rosse: Cercopithecus erythrotis) sono presenti a densità significativamente inferiori rispetto ai parchi naturali, i risultati indicano altre differenze nella struttura delle comunità forestali.

In primo luogo, nelle due aree emerge una considerevole differenza nella composizione della vegetazione: dove la caccia è consentita, le piante i cui semi vengono dispersi prevalentemente dai primati sono meno abbondanti e vengono rimpiazzate da quelle disperse da roditori e fattori abiotici (ad es. il vento). In particolare, questa differenza non emerge nella vegetazione matura, ma è evidente soprattutto per le piante giovani, ad indicare che le cause di questa variazione sono recenti e tuttora in corso.

La caccia spietata dei primati, che si nutrono prevalentemente di certi frutti disperdendo i semi a chilometri di distanza dalla pianta madre, ha dunque un profondo effetto sulle comunità vegetali delle foreste tropicali africane e potrebbe rappresentare un grave pericolo per l’intera biodiversità. Solo preservando le loro popolazioni, concludono i ricercatori, si garantirebbe la persistenza delle piante con grossi frutti, e dunque la sussistenza di svariate specie di frugivori.

Riferimenti:
E. O. Effiom, G. Nunez-Iturri, H. G. Smith, U. Ottosson, O. Olsson. Bushmeat hunting changes regeneration of African rainforests. Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences, 2013; 280 (1759): 20130246 DOI: 10.1098/rspb.2013.0246

Crediti immagine: arenddehaas, Wikimedia Commons

25 lunedì Mar 2013

barney1Dalla penna lucida, ironica e impietosa di uno dei più brillanti talenti degli ultimi anni, purtroppo scomparso nel 2001. Il Barney del titolo è Barney Panofsky, settantenne scoppiettante e rissoso, scrittore e produttore di televisione spazzatura, accusato in un libro da un vecchio conoscente di aver ucciso anni prima il suo miglior amico, per gelosia. Barney ribatte dando la sua versione, ma per farlo ripercorre la sua vita raccontando, tra un sorso di whisky e una boccata di Montecristo, aneddoti deliranti, scherzi di cattivo gusto, ripicche di bassa lega e quanto di più politically scorrect ha segnato la sua controversa esistenza. Pennellate intense di dissacrante umorismo, ma anche di commovente romanticismo e con un finale che se capito lascia a bocca aperta. Se finito il libro non siete rimasti a bocca aperta, rileggete le ultime righe, fidatevi ne vale la pena.

25 lunedì Mar 2013

 Bicchieri.BASSAPer dare al nostro organismo un apporto bilanciato di sostanze nutrienti, come vitamine, minerali enzimi e altri importanti elementi, dovremmo inserire costantemente nella nostra alimentazione una larga percentuale di vegetali verdi crudi, cosa assai difficile da contemplare nella vita frenetica quotidiana, che molte volte costringe a ripiegare su fugaci panini o comunque, per ragioni di “sicurezza”, su verdure cotte che in questo modo perdono una grandissima parte del proprio valore nutrizionale. Ma anche ammesso che ci riuscissimo, bisogna considerare che sia la frutta sia i vegetali di oggi, a causa dell’impoverimento del suolo, dei tempi prolungati di trasporto e immagazzinaggio, nonché di un utilizzo “disinvolto” della chimica, sono stati lentamente depauperati delle proprie sostanze vitali: le mele contengono solo il 20% della vitamina C rispetto a vent’anni fa, lo stesso vale per il betacarotene nei finocchi, solo un quinto, il calcio nei broccoli, solo un terzo, e così via.

A causa di questa somma di fattori negativi, ai quali va aggiunto in molti casi un consumo eccessivo di carne, il nostro metabolismo si ritrova molto spesso  a dover “lavorare” in un contesto di acidità, condizione che rende più probabile lo sviluppo di molte patologie tipiche dei nostri tempi.

La scoperta delle proprietà dell’erba d’orzo

La scoperta dell’immenso valore nutrizionale dell’erba d’orzo la si deve a uno scienziato giapponese, Yoshihide Hagiwara (laureato sia in medicina che in farmacia), che a partire dagli anni ‘70 consapevole del fatto che i nutrienti prodotti in laboratorio non possono mai sostituire quelli più articolati e complessi della natura iniziò ad analizzare le proprietà di più di 200 vegetali, per capire quale dal punto di vista nutrizionale potesse essere il più benefico.

Dopo anni di analisi pubblicò a livello internazionale la propria ricerca che evidenziava nelle giovani e verdi piantine d’erba d’orzo la fonte più ricca e completa in natura di nutrienti. Rimaneva solo un problema: “Come renderla disponibile per tutti?”. La soluzione fu quella di inventare una tecnologia “spray dry” (a getto d’aria fredda) – che tra l’altro vinse nel 1987 il prestigioso premio internazionale “Science and Technology Agency Award”- in grado di polverizzare, in pochi secondi, il succo ottenuto dalle giovani e verdi fogli d’orzo, senza perderne in alcun modo, proprietà e qualità nutrizionali. Grazie a questo processo l’erba d’orzo polverizzata, un vero distillato di clorofilla vitale, è diventata un prodotto conosciuto in tutto il mondo con il nome di “Green Magma”. Oggi l’erba d’orzo disidratata, “Green Magma”, viene coltivata, in modo completamente biologico, nelle zone collinari della California, su terreni ricchi di minerali. Irrigata con acqua pura e raccolta solo all’apice della sua crescita, viene lavorata sul posto e disidratata in brevissimo tempo.

Green Magma:radiografia del prodotto

Le analisi chimiche compiute dal Dott. Hagiwara, inizialmente in Giappone e poi negli USA presso l’Università di Medicina di Davis (California), nella quale ha insegnato per anni, hanno evidenziano la straordinarietà di questa pianta. L’erba d’orzo possiede il doppio del calcio contenuto nel latte, il doppio del potassio contenuto nel grano, 7 volte la vitamina c contenuta nelle arance, 30 volte il complesso di vitamina b contenuto nel latte, 5 volte il ferro degli spinaci, più di 70 enzimi, tra cui l’ormai noto antiossidante SOD (Superossido-dismutase),  uno dei segreti, ormai svelati,  dell’eterna giovinezza delle star hollywoodiane e di molti atleti olimpionici.

Il GREEN MAGMA, il succo disidratato di foglie d’orzo biologico – per berlo basta mettere in uno shaker un cucchiaio di polvere verde e miscelare con un bicchiere d’acqua – è la soluzione di facile utilizzo, che permette di beneficiare di tutte le proprietà intatte di un succo d’erba d’orzo appena spremuto. Le analisi condotte su Green Magma hanno confermato, oltre alla base di clorofilla, la presenza, dei seguenti nutrienti, riportati in etichetta: carboidrati complessi, vitamina A , B1, B2, B3, B6, B12, C, E, K, biotina, colina, acido folico, acido pantotenico, 19 aminoacidi (inclusi tutti gli 8 aminoacidi essenziali e 3 catene di aminoacidi), calcio, ferro, magnesio, potassio, sodio e altri 50 minerali, acidi grassi (metà del contenuto degli acidi grassi è composto degli acidi grassi linoleico e linolenico) e 70 enzimi, incluso il noto Superossido-dismutase, ormai riconosciuto anche dalla medicina ufficiale come il “principe” degli antiossidanti e degli agenti anti invecchiamento.

Il potere straordinario della clorofilla

La vita sulla terra dipende dalla capacità speciale che solo le piante verdi possiedono,  grazie alla fotosintesi, di trasformare la luce in energia vitale. La sua struttura chimica è incredibilmente simile a quella del sangue, del quale promuove la rigenerazione. Svolge inoltre una importante attività antinfiammatoria, germicida, normalizzatrice della flora batterica intestinale e alcalinizzante: evitando che il ph dell’organismo viri verso l’acidità, condizione che favorisce e accompagna sempre il 90% delle patologie esistenti. Aumenta infine la presenza dell’ossigeno nelle cellule dei tessuti, promuovendo in questo modo lo smaltimento delle scorie, tra cui i metalli pesanti, e la reattività del sistema immunitario.

Anche la scienza orientale riconosce il valore del succo d’orzo

Il succo d’orzo è entrato a tal punto nelle consuetudini nutrizionali dei popoli orientali, che nel 2003 il Dipartimento di Nutrizione e Scienza dell’Alimentazione di Taiwan ha promosso una ricerca, pubblicata a livello internazionale e ripresa anche in Italia da diverse riviste scientifiche e di divulgazione medico-erboristica, che ha dimostrato come il succo d’orzo favorisca una serie di processi anti-ossidanti, ostacolando la formazione di radicali liberi, abbassando il livello di colesterolo “cattivo” e promuovendo l’azione del sistema immunitario.

In Italia, Green Magma è distribuito da Royal Green Products in farmacia, erboristeria e negozi del biologico. Si può anche acquistare dal sito www.royalgreen.it

 

25 lunedì Mar 2013

mongolfiera2I nostri comportamenti, le nostre attitudini, decisioni, relazioni interpersonali, dipendono in buona parte da come comunichiamo con noi stessi. Lo facciamo in continuazione, sia a livello superficiale, rimuginando parole altrui o che vorremmo aver detto, sia a livello più profondo,  dando delle interpretazioni alle nostre esperienze. In sintesi, attraverso l’educazione ricevuta, le informazioni elaborate dalle relazioni interpersonali, le riflessioni sui nostri successi o fallimenti e una serie di altre informazioni vagliate come attendibili, ci formiamo  un’idea sulla realtà e sul come “utilizzarla” al meglio. Un modello di riferimento del quale molto spesso conosciamo ben poco.  Una mappa, che non solo contiene le “istruzioni per l’uso” del mondo, ma anche valutazioni condizionanti su noi stessi e sulle nostre capacità/possibilità  di realizzarci. E visto che da questa rappresentazione, comprensiva di convinzioni sul mondo, sugli altri e sulle nostre possibilità di “farcela”, dipende l’esito globale della nostra vita, dovrebbe essere prioritario per ognuno, valutarne veridicità e funzionalità. Insomma, sarebbe auspicabile non solo capire quali convinzioni animano i nostri comportamenti e decisioni, ma anche sottoporre le stesse a una verifica, per capire se le nostre scelte comportamentali appoggiano su basi sicure o sono dettate da deduzioni arbitrarie, o percezioni sfalsate dall’emotività.

Quante volte vediamo amici che vivono una vita frustrata, perché vittime di convinzioni limitanti. Quante volte abbiamo assistito al rompersi di rapporti, per reazioni simmetriche causate da cose non dette o non spiegate o per supposizioni non verificate. Quante vote abbiamo visto amici che rinunciavano a sogni coltivati per una vita, solo perché offesi da un’aspettativa delusa. In verità dietro a comportamenti, pensieri, decisioni che fanno soffrire, ci sono molto spesso modalità comunicative distorte. Tutto questo è molto facile notarlo negli altri, molto più difficile in noi stessi. In effetti nessuno ci insegna a dubitare delle nostre percezioni. Nessuno ci insegna come capire quando il difetto, come si suole dire, sta nel manico. E allora come uscire dal labirinto?

Uno psicologo americano tra i più noti di sempre, Milton Erickson, diventato poi un punto di riferimento per moltissime discipline che studiano la comunicazione, elaborò, negli anni ’60, un approccio strategico – in larga parte mutuato dalla maieutica socratica – per aiutare i pazienti a uscire dalle proprie “trappole mentali”. La metodica, diventata ormai una base condivisa dagli “esperti” di psicologia e comunicazione, consiste semplicemente nel porre a se stessi o ad altri, delle domande specifiche. Quesiti che possano riportare alcune convinzioni, credute verità assolute, sul piano delle opinioni o congetture  personali, aprendo la strada a nuove interpretazioni degli eventi.

Domande e immaginazione: una “ricetta” pratica e veloce per uscire dalle proprie gabbie mentali

Quando ci “blocchiamo”, deprimiamo, offendiamo, o semplicemente ci limitiamo nel vedere le possibilità di scelta che avremmo a disposizione, senza rendercene conto, obbediamo a delle convinzioni limitanti  che ci pilotano in automatico. Il primo passo, quindi, da fare in questi casi, è  tentare di scoprire se, rispetto a una determinata situazione vissuta come problematica,  non siamo noi a creare il problema. In effetti quando si entra in uno stato d’animo vittimistico, depressivo o rinunciatario, non solo non si è consapevoli di averlo scelto tra tante opzioni a disposizione, ma si tende anche a pensare che quella sia l’unica reazione possibile. La prima domanda, che potrà quindi scardinare qualsiasi “impianto” autolesionistico di questo tipo, dovrà proprio riguardare la nostra reazione o la motivazione che, per noi, “giustifica” quella reazione. Per resistere alla “prova verità”, la nostra reazione dovrà essere universalmente (ovvero per tutti) e necessariamente (ovvero in ogni caso) l’unica possibile. Facciamo un esempio, prima prendendo in esame una situazione nella quale il limite supposto è oggettivamente reale e poi altre nelle quali il limite è solo il frutto di “congetture” personali.

E’ necessariamente (in ogni caso e contesto) e universalmente (per chiunque) vero che per esercitare, legalmente, come dentista in Italia si debba avere una laurea? Sì lo è. Limite oggettivo, problema reale, per chi volesse fare il dentista senza avere una laurea.

Immaginiamo invece una banale situazione di questo tipo: abbiamo appena chiamato un’amica per chiedere un consiglio, venendo liquidati velocemente senza spiegazioni. Non solo ci siamo rimasti male, ma abbiamo iniziato a “farci del male” con considerazioni polemiche nei confronti dell’amica – del tipo: “Io non mi comporterei mai così con lei, senza neanche una spiegazione” – o con pensieri autolesionisti, come: “E’ arrabbiata con me per qualche motivo”, o peggio ancora giudizi generici del tipo: “Quando hai bisogno di qualcuno spariscono tutti”.

Come potremmo intervenire per “illuminare” una percezione così, univoca, vittimistica e autolesionista?

Le domande da farsi, secondo i paradigmi di necessità e universalità, potrebbero essere moltissime. Facciamo alcuni esempi, immaginando un dialogo che verosimilmente potrebbe aver luogo tra un esperto e un “paziente”, ma che evidentemente potremmo anche avere con noi stessi.

D:“E’ necessariamente vero che un’amica, per essere tale, debba essere a disposizione sempre e comunque?

R: “No in effetti no, però poteva almeno spiegarmi perché non poteva”.

D: “E’ necessariamente vero che una persona possa sempre dare spiegazioni al telefono?

R : No, probabilmente no

Qui si rende necessario uno “sforzo creativo” per immaginare delle alternative

D : In quali situazioni per esempio, anche una persona cara, potrebbe essere sbrigativa al telefono, senza dare spiegazioni?

R: “Ma non saprei, potrebbe avere davanti una persona a cui non  vuole far sapere i fatti propri, o magari potrebbe essere turbata per qualcosa che le è appena successo”. 

E così via. Cosa abbiamo fatto in questa ipotesi di dialogo tra due persone o con se stessi? Non abbiamo fatto altro che minare le certezze che portavano ad una sola ed unica possibile interpretazione di quanto accaduto. Abbiamo poi messo in evidenza che le fantasie vittimistiche attribuite a quella situazione, fino a prova contraria, erano del tutto soggettive. Abbiamo infine reso evidente un concetto fondamentale: che è perlomeno “pretenzioso” pensare di essere necessariamente la causa dei comportamenti (anche spiacevoli) degli altri. Gli altri possono avere delle loro ragioni che non hanno nulla a che fare con noi. 

Insomma, quanti limiti, ritenuti oggettivi, sono solo il frutto di percezioni distorte? Quanti giudizi affrettati sono solo il risultato di nostre interpretazioni arbitrarie? Ognuno può mettere a confronto le proprie convinzioni e inoltrarsi in un utile processo di “disvelamento”.

E’ necessariamente vero che sono negato/a per quel lavoro, sport o prestazione, solo perché  il primo approccio non è stato dei migliori?

E’ necessariamente vero che il mio partner non mi ama perché non “intuisce” i miei bisogni?

E’ necessariamente vero che non potrò mai fare il cantante professionista perché non ho “amicizie” in quel settore?

Domande fondamentali, per scoprire che, nella stragrande maggioranza dei casi, siamo noi a esserci posti dei limiti o ad aver interpretato in modo problematico dei fatti che di per sé non significavano nulla di preciso e definitivo.

Per concludere è doveroso dire che comunque il farsi delle domande, può essere utile per superare ostacoli “immaginati”,  ma non per produrre “miracoli” dal nulla. Potremmo in effetti scoprire che certi obbiettivi,  pur non essendoci preclusi a priori, richiedono comunque un serio percorso di studio o di apprendistato. Ma comunque avremmo già in parte superato il problema , passando da un problema di identità a un problema di competenze. Insomma niente congiure contro di noi, solo il bisogno di imparare e fare, umilmente, esperienza.

 

 

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22 martedì Gen 2013

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Il termine pet therapy indica una serie complessa di utilizzi del rapporto uomo-animale in campo medico e psicologico.
Nei bambini con particolari problemi, negli anziani e  in alcune categorie di malati e di disabili fisici e psichici il contatto con un animale può aiutare a soddisfare certi bisogni (affetto, sicurezza, relazioni interpersonali) e recuperare alcune abilità che queste persone possono aver perduto.

La soddisfazione di tali bisogni, necessaria per il mantenimento di un buon equilibrio psico-fisico, è uno degli scopi della pet therapy che offre, attraverso alcune Attività Assistite dagli Animali (AAA), soprattutto quelli detti d’affezione o da compagnia, cui si riferisce il termine pet nella lingua inglese, una possibilità in più per migliorare la qualità della vita e dei rapporti umani.

La pet therapy può anche contribuire, affiancando ed integrando le terapie mediche tradizionali, al miglioramento dello stato di salute di chi si trova in particolari condizioni di disagio, attraverso Terapie Assistite dagli Animali (TAA), interventi mirati a favorire il raggiungimento di funzioni fisiche, sociali, emotive e/o cognitive.

È stato infatti rilevato da studi condotti già negli scorsi decenni e oggi comprovati da sempre più numerose esperienze, che il contatto con un animale, oltre a garantire la sostituzione di affetti mancanti o carenti, è particolarmente adatto a favorire i contatti inter-personali offrendo spunti di conversazione, di ilarità e di gioco, l’occasione, cioè, di interagire con gli altri per mezzo suo.
Può svolgere la funzione di ammortizzatore in particolari condizioni di stress e di conflittualità e può rappresentare un valido aiuto per pazienti con problemi di comportamento sociale e di comunicazione, specie se bambini o anziani, ma anche per chi soffre di alcune forme di disabilità e di ritardo mentale e per pazienti psichiatrici.
Ipertesi e cardiopatici possono trarre vantaggio dalla vicinanza di un animale: è stato, infatti, dimostrato che accarezzare un animale, oltre ad aumentare la coscienza della propria corporalità, essenziale nello sviluppo della personalità, interviene anche nella riduzione della pressione arteriosa e contribuisce a regolare la frequenza cardiaca.

Che si tratti di un coniglio, di un cane, di un gatto o di altro animale scelto dai responsabili di programmi di pet  therapy, la sua presenza solitamente risveglia l’interesse di chi ne viene a contatto, catalizza la sua attenzione, grazie all’instaurazione di relazioni affettive e canali di comunicazione privilegiati con il paziente, stimola energie positive distogliendolo o rendendogli più accettabile il disagio di cui è portatore.

I bambini ricoverati in ospedale, ad esempio, soffrono spesso di depressione, con disturbi del comportamento, del sonno, dell’appetito e dell’enuresi dovuti ai sentimenti di ansia, paura, noia e dolore determinati dalle loro condizioni di salute, e dal fatto di essere costretti al ricovero, lontani dai loro familiari, dalla loro casa, dalle loro abitudini. Alcune recenti esperienze, condotte in Italia su bambini ricoverati in reparti pediatrici nei quali si è svolto un programma di Attività Assistite dagli Animali, dimostrano che la gioia e la curiosità manifestate dai piccoli pazienti durante gli incontri con l’animale consentono di alleviare i sentimenti di disagio dovuti alla degenza, tanto da rendere più sereno il loro approccio con le terapie e con il personale sanitario. Le attività ludiche e ricreative organizzate in compagnia e con lo stimolo degli animali, il dare loro da mangiare, il prenderli in braccio per accarezzarli e coccolarli hanno lo scopo di riunire i bambini, farli rilassare e socializzare tra loro in modo da sollecitare contatti da mantenere durante il periodo più o meno lungo di degenza, migliorare, cioè la qualità della loro vita in quella particolare contingenza.

Altre esperienze di Attività Assistite dagli Animali riguardano anziani ospiti di case di riposo. Si è osservato che a periodi di convivenza con animali è corrisposto un generale aumento del buon umore, una maggiore reattività e socievolezza, contatti più facili con i terapisti. Un miglioramento nello stato generale di benessere per chi spesso, a causa della solitudine e della mancanza di affetti, si chiude in se stesso e rifiuta rapporti interpersonali.

Nel campo delle Terapie Assistite dagli Animali, dove le prove di un effettivo miglioramento dello stato di salute di alcuni pazienti si stanno accumulando nella letteratura scientifica, la pet therapy propone co-terapie dolci da affiancare alle terapie mediche tradizionali e, attraverso un preciso protocollo terapeutico, è diretta a pazienti colpiti da disturbi dell’apprendimento, dell’attenzione, disturbi psicomotori, nevrosi ansiose e depressive, sindrome di Down, sindrome di West, autismo, demenze senili di vario genere e grado, patologie psicotiche, ma anche a quanti necessitano di riabilitazione motoria come chi è affetto da sclerosi multipla o reduce da lunghi periodi di coma. L’intervento degli animali, scelti tra quelli con requisiti adatti a sostenere un compito così importante, è mirato a stimolare l’attenzione, a stabilire un contatto visivo e tattile, un’interazione sia dal punto di vista comunicativo che emozionale, a favorire il rilassamento e a controllare ansia ed eccitazione, ad esercitare la manualità anche per chi ha limitate capacità di movimento, a favorire la mobilitazione degli arti superiori, ad esempio accarezzando l’animale, o di quelli inferiori attraverso la deambulazione con conduzione dell’animale la cui presenza rende gli esercizi riabilitativi meno noiosi e più stimolanti.

Le attività di Pet Therapy sono caratterizzate, tuttavia, da una grande eterogeneità, sia per quanto riguarda il percorso formativo degli operatori, sia per la tipologia degli utenti e le metodologie adottate. Il crescente interesse in materia e la mancanza di strumenti legislativi che regolino le terapie svolte con l’ausilio degli animali, ha fatto sorgere la necessità di effettuare da parte dell’Istituto Superiore di Sanità una ricognizione delle attività svolte a livello nazionale.
Il rapporto include i risultati di un censimento delle terapie e attività assitite in alcune regioni italiane e presenta alcuni esempi di attività svolte sul campo. Vengono esaminati i problemi etici legati all’utilizzo degli animali a fini terapeutici e di assistenza e suggerite linee guida per una corretta pratica di queste attività.

(Fonte: Ministero della Salute)

22 martedì Gen 2013

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a cura di Bruno Ferrari
Educatore cinofilo professionista


www.educazionecanimilano.it

Chi ha un cane ha sicuramente sentito almeno una volta una delle tante leggende metropolitane che girano attorno ai cani e alle tecniche educative per ottenere cani educati e felici. I proprietari di cani sono tra i più buffi e ingegnosi inventori, divulgatori di notizie e consigli fuori luogo al mondo, si tramando una serie di inesattezze con una dovizia e un’abilità fuori dal comune, quasi sorprendente. Visto che siamo in clima estivo e sotto l’ombrellone non abbiamo voglia di perderci in discorsi troppo seri ecco una divertente lista delle più comuni leggende metropolitane da “AREA CANI”.

IL MIO CANE È DOMINANTE:

La stragrande maggioranza dei cani è dominante ci avete fatto caso? Ogni atteggiamento è giustificato con il “sai il mio cane è molto dominante…” sia che ringhi, sia che rubi la pallina, sia che faccia la pipì su un arbusto piuttosto che un’ altro, che non giochi, che giochi assiduamente e freneticamente… la causa è la DOMINANZA! La dominanza è un falso mito non fatevi abbagliare dai discorsi alla Cesar Millan o da libri ormai obsoleti dove tutto in ambito cinofilo veniva spiegato con la dominanza e la gerarchia, fortunatamente gli studi si sono evoluti e ci hanno dato modo di vedere cose prima sconosciute.
IL MIO CANE È AGGRESSIVO:
Ecco un tipico dialogo sul cancello d’ingresso dell’area cani: “Se vuole entrare entri puri il mio cane è tranquillo non ci sono problemi” il proprietario fuori dall’area “No, guardi, la ringrazio ma entro quando esce lei… sa il mio cane è aggressivo, da cucciolo ha ringhiato una volta ad un cane più grande e non mi fido più… troppo aggressivo… meglio di no!” È come se vostro figlio avesse alzato la voce con i suoi amichetti una volta in giardino e ora gli vietaste di giocare con i suoi compagni perché lo ritenete l’erede morale di Totò Rina! Anche l’aggressività è un concetto che va preso con le pinze… attenzione un ringhio non è un sinonimo di aggressività!
IL MIO CANE È UN MANIACO SESSUALE:
Monta fra due cani dello stesso sesso e l’imbarazzo tra i proprietari s’impenna come Valentino Rossi dopo la vittoria di un Granpremio! Occhiate maliziose, commenti triviali o imbarazzati, machi con l’ego in frantumi..insomma si sentono motivazioni e conclusioni più disparate… La monta tra cani dello stesso sesso non è da intendersi come un atto sessuale, ma è un modo di comunicare, normale, che i cani hanno per far capire agli altri il loro status sociale in mezzo al branco, può essere un momento di gioco oppure può essere un modo di scaricare un picco d’arousal troppo alto. Quindi non fatevi prendere dall’imbarazzo o da conclusioni fuori luogo… per i cani è normale, è semplicemente un modo di comunicare qualcosa… so che per noi è fuori luogo ma se ci pensate quando si presentano non si danno la mano ma si annusano il sedere… come vedi i loro parametri sono diversi dai nostri… basta saperlo no?

L’HO VISTO FARE IN TV:
Se l’ho visto in tv vuol dire che è vero e che è un metodo valido quindi non mi pongo problemi e lo faccio pure io! È come se dopo aver visto Superman o Spiderman voi vi lanciaste giù da un palazzo nella speranza di planare con il mantello o lanciare le ragnatele dai vostri polsi come i super eroi citati, ne più ne meno. Siccome siamo dotati di buon senso non ci gettiamo dalla finestra per uscire di casa ma prendiamo l’ascensore o le scale, ma quando si tratta di cani non ci poniamo il problema e attuiamo cecamente quello che la tv ci propone. Ad esempio fare ciò che fa Cesar Millan non è un ottima cosa e sentire gente che dice “Sai l’ho visto fare a quello della Tv sai quello che sussurra ai cani… quello si che è un figo…” bè non è una gran cosa… Se vuoi risolvere i problemi con il tuo cane o semplicemente educarlo rivolgiti ad un Educatore Cinofilo.

TESTA NELLA PIPÌ E IL CANE IMPARA SUBITO A FARLA FUORI:
Arriva il nuovo cucciolo in area cani e via di coccole e carezze al nuovo arrivato, finita la fase affettiva partono le domande se sia bravo o meno e il proprietario “Si è bravo non mi da grossi problemi, l’unica cosa è che ancora mi fa la pipì ovunque…non ne posso più…” e qua c’è sempre l’espertone di turno che salta su con la vecchia perla di saggezza “Dammi retta io ho da una vita i cani…e so come insegnarli a sporcare fuori…quando la fa prendi delicatamente la testa e la pucci nella pipì e gli dai anche una giornalata sul sedere…in poco tempo smette!” Basta Basta Basta con questa storia. Il cane più che altro capisce che siete fuori di testa, mi spiegate cosa può pensare quando il suo padrone lo prende e gli mette la testa nella pipì?! Si insegna a sporcare fuori portandolo fuori dopo i momenti critici ovvero dopo la pappa, dopo una bella dormita o dopo il momento di gioco e premiandolo quando fa cacca o pipì fuori.

LO SCIAMANO DELL’AREA CANI:
Noi italiani si sa, oltre che santi, navigatori e poeti siamo un popolo che dell’arte d’arrangiarsi ne ha fatto un marchio di fabbrica e va da se che anche senza essere degli esperti siamo molto bravi a dare e dispensare consigli di tutti i tipi e le area cani non sono esenti da questo folcloristico e grottesco vizio italico. I veterinari dell’ultima ora sono sempre presenti, c’è chi si diletta fornendo diagnosi e cure di ogni genere consigliando medicinali di ogni tipo e questa è la versione occidentale, quella che ha sposato la causa dell’allopatia, della medicina chimica, poi c’è la versione new age, il filone più orientale, lo sciamano di turno insomma, che dispensa consigli naturali rubati dal quaderno segreto della nonna fornendo rimedi omeopatici di ogni tipo, come il guscio d’uovo mischiato con i fiori di camomilla per curare le dermatiti (giuro che l’ho sentita veramente!). Non so quale sia peggio dei due ma per ogni problema inerente alla salute del vostro pet… rivolgetevi al vostro VETERINARIO di fiducia no alle cure fai da te!

SERVIZI IGENICI ALL’AREA APERTA:
“Scusi ma non raccoglie la cacca del cane? Guardi la ci sono pure i sacchettini se sono finiti gli do uno dei miei non c’è problema!” “Ma scusi lei raccoglie ANCHE nell’area cani? Questo è un posto per cani mica la raccolgo io!” Che stupido l’area cani è un posto per cani… quindi la “merda” può imperare… tanto poi se con il caldo si veicolano più facilmente le malattie il mio cane non le prende, se il fetore rende la zona invivibile tanto non ci sto io… e poi anche a casa mia in bagno io la faccio ovunque è l’area cacca di casa mia! Siamo nel 2011 diciamo di essere un paese civile… le deiezioni dei cani si raccolgono OVUNQUE!
LA GIORNALATA SUL SEDERE È IL PASSEPARTOUT EDUCATIVO:
“Per educare il cane prendi il Corriere della Sera (versione politicamente corretta, ma a seconda delle vostre tendenze politiche può andar bene anche la Repubblica, il Giornale o anche la Gazzetta dello sport) arrotolalo e quando fa qualcosa di sbagliato dagliela sul sedere… il cane ha paura del rumore e quindi capisce” Questo è uno dei metodi ancora in voga dagli “esperti” delle aree cani. Come per il punto 6, anche per l’educazione rivolgetevi a degli EDUCATORI PROFESSIONISTI, anche in questo ambito si è fatto passi da gigante e punire è ormai obsoleto, meglio premiare qualcosa di buono che punire qualcosa di negativo e se stai leggendo questo articolo e sei interessato all’argomento leggi gli altri articoli che trovi sul blogwww.cinofili.worpress.com

QUANDO COMPIE UN ANNO LO PORTO DALL’EDUCATORE:
C’è ancora la credenza che un cane non si possa educare prima di aver compiuto un anno di età. Io dico sempre ma vostro figlio lo mandareste a scuola a 14 anni? No, lo mandi addirittura all’asilo quando è piccolo, quindi perchè un cane deve aspettare un anno prima di ricevere l’educazione e socializzare con il mondo? I cani si possono e si dovrebbero iniziare ad educare fina dal secondo mese di vita, facendogli frequentare dei percorsi adatti ai cuccioli chiamati Puppy Class o Scuola per Cuccioli. Percorsi educativi pensati appositamente per fornire gli strumenti educativi più adatti ai cuccioli e ai loro proprietari. Perchè perdere del tempo prezioso per costruire una migliore relazione con il nostro compagno peloso?!

HO COMPRATO IL CANE PERCHÉ HO IL GIARDINO:
Questa non si sente tanto nelle aree cani ma è una delle peggiori leggende metropolitane in circolazione: quella di potersi permettere il cane solo se si ha il giardino così il cane sta meglio. Purtroppo il cane con un giardino va a stare peggio in quanto il più delle volte il giardino diventa una prigione visto che con la scusa del giardino il cane non esce più in passeggiata. È come se a noi ci rinchiudessero in un castello bellissimo anche pieno di comfort, ma senza contatti con l’esterno e senza tv giornali internet, nulla di nulla. Pensate che per il cane annusare equivale a leggere un giornale e capire cosa è successo nel mondo. un cane inoltre è un animale sociale e ha bisogno di vivere il mondo, vedere e relazionarsi con i propri simili e gli altri uomini, fare attività differenti e tenere attivo il suo cervello e purtroppo la vita in giardino non gli permette tutto questo.

(Fonte: adottauncane.net)

22 martedì Gen 2013

Genere: Humor

Trama: Pirandello definì l’umorismo come “il sentimento del contrario”, un momento successivo al comico, che nasce da una riflessione e da una identificazione con l’oggetto delle nostre risate, che porta il soggetto a una sorta di compassione per le vicende osservate.
E’ questo il tipo di umorismo che anima le pagine di Correva a squarciagola… sotto un sole torrenziale, dove un narratore spiritoso e autoironico racconta in maniera irriverente e senza peli sulla lingua la città di Napoli; un umorismo sottile, talvolta nero, che fa sorridere a denti stretti e che spesso lascia un retrogusto amaro in bocca, quello della riflessione sui tipi umani propri di una cultura, quella partenopea, piena di risorse e di ingegno.

Commento:
Recensione di Max Vajro, Il Mattino

correva-a-squarciagola-sandro-fiorenzanoBenedetto Croce, di ritorno da un soggiorno nella splendida villa toscana in cui il principe dei bibliofili Tammaro De Marinis conservava tesori d’ogni tempo, confidò ad un amico: “Sì, cose straordinarie, codici e incunaboli; ma mi veniva nostalgia di Pappacena”. Che era un modesto, ma intelligente e simpatico libraio di Spaccanapoli, dove il Filosofo trascorreva ore serene, tra libri meno preziosi di una Aldina o una Giuntina, ma assai cari al suo spirito…
Che vogliamo dire? Che fra migliaia di pagine raffinate di narrativa, involute e allusive, trascendentali quanto incomprensibili, ecco vivaddio un libro di racconti che fanno sorridere, che si capiscono ad ogni riga, che si leggono e si rileggono, mentre uno che osservasse il lettore non potrebbe scorgere in lui rughe di sofferenza né corrugare di sopracciglie. Ma vedrebbe il volto spianarsi, gli angoli della bocca incresparsi: un sorriso, gioia del mondo, momento sempre più difficile della vita contemporanea. E la raccolta di novelle di Sandro Fiorenzano, dal titoloCorreva a squarciagola… sotto un sole torrenziale diventa così uno dei libri più simpatici dell’anno.
Domenico Rea, tanto nomini, ha voluto scrivergli una prefazione, che comincia come una Sacra Scrittura: “La prima dote che si riscontra nelle novelle di Fiorenzano è quella di farsi leggere” E vi pare poco. Napoletano, è dal 1970 che scrive racconti, sul “Corriere di Napoli” e su altri giornali, ed ha conquistato lentamente un suo pubblico, nel quale mi onoro di stare anch’io, che nel mezzo di una giornata fastidiosa vedeva la firma di Fiorenzano sotto due colonnine di piombo, e si preparava ad un momento di serenità.
Il suo racconto è subito nella sua fase più significativa, senza descrizioni, paesaggi, monologhi e pagine di tormenti psicologici, ma uno-due-tre, ovvero soggetto-predicato-complemento, insomma “il fatto”, la narrazione di uno che della vita è cronista spigliato e garbato, ironico ma non maligno, pieno di buonsenso e di comprensione. Ed alla fine di ogni racconto c’è la “chiusa” giusta, quella piccola sorpresa che secondo i canoni classici deve concludere una breve narrazione. Uno stile da “commedia all’italiana”, ma senza morbosità e senza lo sforzo intellettualistico: se il fatto c’è, se può restare a galla sulla cronaca di una giornata, ecco che Sandro Fiorenzano lo racconta in pulito, sintassi a posto, aggettivi non banali ma neppure “difficili”, e sembra di essere tornati ad una ariosa cucina all’italiana, senza grassi e senza misture.
Avesse cominciato anni prima, il nostro Fiorenzano, si fosse dedicato più alle lettere che ad altro, scaltrendosi di più ed arricchendo ancora in profondità i suoi motivi di ispirazione, sarebbe un piccolo Maupassant napoletano. Ma ci darà delle sorprese, certamente, andando avanti nel raccontare: e farà ancora del bene a chi lo leggerà: lasciandolo per una volta, dopo un libro, a bocca non amara.
Questo andava detto, perché un fatto così singolare – di un libro che si legge con piacere, subito, e lo si mette in un luogo accessibile, per rileggerlo ogni tanto, e lo si consiglia agli amici – merita che un banditore vada nelle pubbliche vie. Insomma, se io ho scritto quello che fin qui si legge, non è per fare un favore all’Autore: ma per ringraziarlo, avendomi lui reso un caro favore.
Suvvia, procuratevi Correva a squarciagola… sotto un sole torrenziale e sorriderete anche voi.
(Recensione fornita dall’autore – Fonte: Recensione di Max Vajro, Il Mattino)