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14 lunedì Set 2015

alberi3.040.000.000.000, ovvero 3,04 bilioni, circa 420 per ogni essere umano che abita il pianeta. È questo il numero di alberi presenti oggi sulla Terra, almeno stando alle più recenti stime della densità e distribuzione delle foreste del globo, pubblicata su Nature dai ricercatori della Yale University. Una cifra enorme, certo (le stime precedenti si fermavano a circa di 400 miliardi), ma quasi dimezzata negli ultimi 11mila anni in seguito alla deforestazione provocata dalle attività umane.

Finora non esisteva in effetti una stima realistica del numero di piante ad alto fusto presenti sulla Terra. Per valutare progetti di riforestazione e contrasto dell’inquinamento atmosferico, scienziati e legislatori dovevano quindi accontentarsi delle immagini satellitari per cercare di valutare l’estensione delle aree boschive. Una soluzione insufficiente, perché conoscere il numero e la densità degli alberi, e le riserve di legname esistenti, è essenziale per comprendere i processi biologici che coinvolgono le aree boschive, e la struttura di questi ecosistemi fondamentali per la “salute” del pianeta. Per ottenere una stima affidabile, i ricercatori di Yale hanno dovuto utilizzare i dati sulla densità degli alberi raccolte negli anni in oltre 400mila aree boschive del pianeta, incrociando questi dati per ottenere una mappa globale della densità degli alberi in tutti gli ecosistemi della Terra. Il risultato, spiegano i ricercatori, rappresenterà ora una misura di riferimento, utile per realizzare ricerche in una grande varietà di campi, dallo studio della biodiversità animale e vegetale, fino al perfezionamento deimodelli climatici disponibili.

Ancor più importante forse, i risultati dello studio saranno indispensabili per programmare i futuri interventi in difesa delle foreste, e i progetti che mirano a contrastare l’aumento di CO2nell’atmosfera. Stando all’analisi pubblicata su Nature, ogni anno sono circa 15 miliardi gli alberi che vengono abbattuti dall’uomo, di cui solo cinque miliardi vengono rimpiazzati da nuove piante. Numeri che fanno riflettere, come ha spiegato alla Bbc Henry Glick, uno degli autori dello studio.

“Non sembra essere una percentuale insignificante, e dovrebbe quindi portarci a considerare accuratamente il ruolo che la deforestazione sta avendo sugli ecosistemi”, ha sottolineato il ricercatore. “Visto che la perdita di alberi è dovuta principalmente alla raccolta di legname e alla riconversione dei terreni all’agricoltura, i numeri sono probabilmente destinati ad aumentare con la crescita della popolazione umana prevista per i prossimi decenni”.

Se il passato può essere da esempio, a partire dall’ultima glaciazione, circa 11mila anni fa, gli alberi scomparsi a causa dell’attività umana sarebbero circa 3 biliardi. Come ricordano i ricercatori, l’Europa nel lontano passato era praticamente coperta per intero da un’unica enorme foresta, che oggi, dopo millenni di agricoltura, ha lasciato spazio a distese di pascoli e campi coltivati.

articolo scritto da Simone Valesini
http://www.galileonet.it/2015/09/ecco-quanti-alberi-ci-sono-nel-mondo/

14 lunedì Set 2015

orsi-360x234Sono il simbolo del riscaldamento globale, minacciati di estinzione dallo scioglimento delle calotte polari. Gli orsi polari, però, potrebbero sopravvivere anche senza le loro prede preferite: lefoche. Lo suggerisce uno studio dei ricercatori del Museo Americano di Storia Naturale, pubblicato su Plos One. Secondo i nuovi calcoli, i candidi plantigradi potrebbero salvarsi cacciando caribù e oche delle nevi sulla terraferma.
Gli orsi polari, Ursus maritimus, sono abituati a non alimentarsi per giorni nel periodo estivo, ma con le dovute limitazioni. Con l’innalzamento delle temperature, infatti, il ghiaccio manca per periodi sempre più lunghi e il grasso accumulato nel periodo primaverile, cibandosi di cuccioli di foca e carcasse di trichechi e di cetacei, non basta più. Ma fortunatamente (per loro) il cibo sulla terraferma c’è, e secondo le osservazioni condotte in Canada da Linda Gormezano e Robert Rockwell del Museo Americano di Storia Naturale, sembra anche che gli orsi inizino a sfruttarlo.

“Gli orsi polari sono molto opportunisti, tanto che è ormai ampiamente documentato il loro consumo di diversi tipi di cibo sulla terraferma” ha dichiarato Rockwell, che ha studiato l’ecologia artica della baia di Hudson occidentale per quasi 50 anni. “L’analisi degli escrementi e le osservazioni dirette ci hanno mostrato che orsi polari subadulti, gruppi familiari e anche alcuni maschi adulti stanno già mangiando piante e altri animali, durante il periodo in cui il ghiaccio è più sottile e non consente loro di cacciare le foche“. Infatti sulla costa occidentale della baia di Hudson, nella provincia di Manitoba, gli studiosi hanno osservato questi mammiferi cacciare anche i caribù.

Gomezano e Rockwell hanno così calcolato il bilancio energetico tra i costi della caccia e l’apporto calorico di prede come il caribù, ma anche di oche delle nevi e delle loro uova. E hanno scoperto che probabilmente le risorse della terraferma sono più che sufficienti per sopperire al bisogno energetico degli orsi polari. Un orso, quindi, dovrebbe mangiare in media un caribù ogni 27 giorni per scongiurare la fame: una frequenza più o meno simile ai ritmi con cui caccia le foche. Inoltre, dal momento che in primavera gli orsi polari giungono sulle coste sempre prima, potrebbero arrivare sulla terraferma proprio nella stagione in cui i caribù partoriscono e le oche delle nevi depongono le loro uova. Cuccioli e uova sarebbero quindi pasti sostanziosi e soprattutto facili da ottenere, senza un grosso dispendio energetico. “Queste specie potrebbero diventare una componente cruciale della dieta degli orsinella stagione estiva” ha specificato Rockwell, consentendo così la sopravvivenza della specie.

Finora gli studi precedenti, infatti, hanno dipinto una situazione catastrofica: dal 2068, gli orsi polari rimarranno bloccati sulla terraferma per circa 180 giorni l’anno, e la maggior parte dei maschi adulti (tra il 28% e il 48%) morirà di fame. Ma questi studi non tengono conto dell’assunzione di cibo sulla terraferma: un adattamento che potrebbe ridare speranza alla conservazione di questa specie. Se la nuova situazione funzionerà nel lungo periodo, però, dipende da diversi fattori, come il tasso di successo nella caccia, e se le oche e i caribù si adatteranno ai cambiamenti climatici e riusciranno a sopportare la pressione predatoria.

articolo scritto da Francesca Buoninconti
http://www.galileonet.it/2015/09/gli-orsi-polari-sopravviveranno-allo-scioglimento-dei-ghiacci/?utm_campaign=Newsatme&utm_content=Gli%2Borsi%2Bpolari%2Bsopravviveranno%2Ballo%2Bscioglimento%2Bdei%2Bghiacci&utm_medium=news%40me&utm_source=mail%2Balert

Credits immagine: AMNH/R. ROCKWELL

29 lunedì Giu 2015

Rafting sul Ticino foto Simona Denise DeianaAll’interno del Parco del Ticino è possibile vivere un’avventura sul fiume attraversando un’inaspettata natura selvaggia grazie allo slow rafting: per nulla pericoloso è l’ideale per bambini e famiglie e il divertimento è assicurato.

Non occorre fare molti chilometri per immergersi nella natura, persino se si vive a Milano… strano? Il Parco del Ticino  è una bella sorpresa, sia se amiate paesaggi incontaminati che sport all’aria aperta, magari sull’acqua. Il Parco è vasto, si estende su due regioni, Piemonte e Lombardia e il fiume Ticino qui va da Sesto Calende (VA) al Ponte della Becca (PV) per 110 km. Lungo le sue sponde è possibile ammirare specie vegetali e animali uniche, rilassarsi o divertirsi cimentandosi in attività davvero coinvolgenti.  Se volete far vivere ai vostri bambini la prima adrenalina ma siete frenati dal timore che possano farsi male, è il posto giusto: sul versante lombardo del parco è possibile fare slow rafting. Si tratta di una versione blanda del rafting che tutti conosciamo ma non per questo meno coinvolgente: la prima cosa positiva è che non occorre la muta, e chiunque l’abbia mai indossata sa che è un bel fastidio risparmiato! Si naviga comunque in tutta sicurezza con caschetto e giubottino salvagente a norma. Poi si fa una breve ma precisa lezione per imparare ciò che serve per godersi al meglio l’avventura: noi l’abbiamo fatta grazie ai ragazzi diAqQua, Alberto, Mosè e Titti ci trasmettono le nozioni base del rafting e insieme la loro passione per uno sport che permette di vivere a pieno il fiume.

Rafting sul Ticino foto Simona Denise Deiana

Una volta in acqua verrete stupiti dalla pace, dalla natura selvaggia e dalle continue sorprese nei vari rami del fiume. Potete fermarvi sull’isolotto, prendere il sole o fare uno spuntino o decidere di tuffarvi in acqua. E se non vi va di fare rafting potete provare la canoa o il kayak o solo godervi il paesaggio.

A bordo del raft inoltre potrete scorgere la cupola del Duomo di Pavia, attraversare il Ponte Coperto, e vedere la Statua della Lavandaia per poi attraversare tutto Borgo Ticino dove si sbarca.
È possibile vivere delle avventure nel verde e sperimentare nuove discipline anche a pochi passi da una grande città come Milano. Ora lo sapete. Buon divertimento!

articolo scritto da Simona Denise Deiana
Fonte: http://www.lifegate.it/persone/stile-di-vita/slow-rafting-a-milano

 

 

 

 

29 lunedì Giu 2015

lavare-lenzuolaPer una corretta igiene nel luogo dove si trascorre molto tempo per riposare e rilassarsi, è importante lavare le lenzuola, il coprimaterasso, le federe e le coperte a una temperatura di almeno 50 gradi. Solo in questo modo si eliminano gli acari della polvere e le macchie ostinate.

Ogni quanto lavare le lenzuola?
Le casalinghe alle prime armi si chiedono spesso ogni quanto sia necessario lavare le lenzuola. Per una corretta igiene personale, meglio effettuare il lavaggio una volta la settimana per i capi che stanno a diretto contatto con la pelle. Mentre per coperte, copriletto e trapunte ogni 14 giorni è il lasso di tempo ideale.Nel periodo estivo, a causa della sudorazione è elevata si consiglia di lavare le lenzuola e cambiarle anche due volte in una settimana.

L’obiettivo principale è di eliminare gli acari completamente?

Fate attenzione all’asciugatura e ricordate di conservare le lenzuola solo quando completamente asciutte. Infatti, riporre i capi nell’armadio ancora umidi, non fa altro che fornire un ambiente perfetto per la proliferazione degli acari. I microorganismi tendono a sopravvivere anche dopo il lavaggio e solo l’asciugatura permette di eliminarli per qualche tempo.

Metodi di asciugatura consigliati. Esistono diversi metodi di asciugatura per eliminare ogni traccia di umidità. Si consiglia di utilizzare una  asciugatrice oppure lasciare stese le lenzuola  all’aperto per dire addio a ogni acaro. Questi microorganismi anche se non si vedono causano allergie e problemi respiratori.

Eliminare gli acari dai cuscini Ogni due anni i cuscini andrebbero cambiati, infatti, sono la parte del letto, dove si soffermano la maggior parte degli acari, dando vita a fastidiosi pruriti. Dopo aver effettuato una pulizia approfondita vi siete accorti che non esiste nessuna speranza per eliminarli? Sostituite immediatamente i cuscini con modelli che si possono lavare tranquillamente nella lavatrice di casa e asciugati senza problemi.
Oltre a lavare le lenzuola valutate, la possibilità di acquistare dei prodotti trattati con protezione antiacaro, in commercio esistono tantissimi modelli che si adattano alle esigenze di tutti.

Attenzione all’umidità in eccesso

Per evitare la formazione costante degli acari, dovete prestare molta attenzione alla quantità di umidità presente nell’aria. Se abitate in un territorio o in una casa ricca di umidità, l’acquisto migliore che potete effettuare è quello di un deumidificatore da posizionare nella camera da letto. Questa scelta dovrebbe rallentare la formazione degli acari su lenzuola, materasso e coperte. L’impostazione di umidità deve essere inferiore al 50%, infatti, al di sotto di questa percentuale la formazione di acari di solito è inferiore.

Durante il periodo estivo come comportarsi?

In estate coperte e piumoni vengono nascosti all’interno di armadi, letti o divani.  Oltre a lavare le lenzuola invernali come descritto, vi consigliamo di riporre la biancheria da letto che non si utilizza, dentro sacchi sottovuoto da integrare in borse di colore scuro dove non passa la luce. Si tratta di una buona abitudine per proteggere i tessuti dalla polvere che si accumula durante i mesi.  Infine porre le lenzuola e coperte in luoghi senza illuminazione permette di tenere lontani gli acari.

Fonte: http://www.vitadamamma.com/125595/lavare-le-lenzuola.html

29 lunedì Giu 2015

Aceto_di_mele_per_la_pelle-15827-640-480-90-cScopriamo come utilizzare l’aceto di mele per il bene della nostra pelle

L’aceto di mele è ricco di amminoacidi ed enzimi che aiutano il corpo in diversi modi e può essere molto utile anche per la salute della pelle. Stimola la circolazione dei capillari che sono responsabili del nutrimento della pelle e aiuta a mantenere il giusto pH. Inoltre l’aceto di mele rimuove i batteri e le cellule morte; in questo modo dona sollievo ai pori ostruiti regalandoti una pelle sana e bella. Vediamo come impiegarlo a seconda delle diverse necessità.

ACETO DI MELE PER COMBATTERE L’ACNE

Le proprietà antisettiche dell’aceto di mele, unite a quelle del miele contrastano i batteri, aprono i pori, rimuovono il grasso e aiutano l’idratazione. Ecco quello che serve

  • 1/4 di tazza di miele
  • 1 tazza di camomilla
  • 1/2 tazza di aceto di mele

Mescola questi ingredienti fino a ottenere una soluzione omogenea. Prima di andare a dormire utilizzala con un batuffolo di cotone per pulire la pelle

ACETO DI MELE PER IL PH DELLA PELLE

Questa soluzione vi aiuterà a riottenere il naturale pH della pelle e l’olio di lavanda sarà utile per far diminuire le irritazioni.

  • 2/3 di tazza di acqua
  • 1/3 di tazza di aceto di mele
  • 3 gocce di olio di lavanda

Mescola tutti gli ingredienti e scuoti per bene. Pulisci il viso con un batuffolo di cotone.

Inoltre l’aceto di mele è ottimo se vogliamo dimagrire. I suoi enzimi e acidi fanno diminuire l’appetito e ci aiuta a bruciare i grassi più rapidamente perché accelera il metabolismo.

fonte: http://www.ecoseven.net/benessere/bellezza/aceto-di-mele-per-la-pelle

29 lunedì Giu 2015

ape_coverUno studio dell’UE afferma che il 9,2% delle api europee è a rischio estinzione. Mentre in Italia la produzione è calata del 50% in 7 anni. Vittime di pesticidi, inquinamento e cambiamenti climatici, questi meravigliosi insetti riusciranno difficilmente a sopravvivere, mettendo a serio rischio l’intera catena alimentare. Per evitare il disastro istituzioni e associazioni corrono ai ripari.

L’allarme sull’estinzione delle api è stato lanciato più volte nel corso degli ultimi anni. Noi dipendiamo anche da loro, visto che 71 delle 100 colture più importanti al mondo si riproducono grazie all’impollinazione. Ma per salvarle, bisogna prima contarle. E’ da poco operativa l’anagrafe delle api, che dà la possibilità agli apicoltori italiani di registrarsi sul portale del Sistema informativo veterinario accessibile dal portale del Ministero della Salute. Operatori delle Asl, aziende e allevatori potranno accedere all’anagrafe per registrare le attività, comunicare una nuova apertura, specificare la consistenza degli apiari e il numero di arnie o le movimentazioni per compravendite. Sul sitowww.vetinfo.sanita.it, una sezione pubblica dedicata all’Apicoltura consentirà di avviare la procedura online di richiesta account. D’altronde i numeri parlano chiaro: le api italiane sono diminuite del 40% dal 2008 ad oggi, con conseguente calo della produzione di miele del 50%; siamo quarti nella classifica dell’apicoltura europea; le importazioni sono aumentate del 17%, di contro le esportazioni sono diminuite del 26%. La situazione è preoccupante non solo in Italia, ma anche nel resto d’Europa: in Inghilterra si stima che le api scompariranno del tutto entro il 2020. Gli scienziati la chiamano “Sindrome dello Spopolamento degli Alveari”. E questo fenomeno è stato recentemente confermato da uno studio dell’Unione Europea, denominato “European Red List of Bees”, che censisce 1.965 specie di api del vecchio continente. Bene, il 9,2% è a rischio estinzione, una percentuale che sale a quasi un quarto (25,8%) nel caso dei “bombi”, impollinatori molto importanti della stessa famiglia; il 7,7% (150 specie) è in declino, il 12,6% (244 specie) è più o meno stabile e lo 0,7% (13 specie) è in aumento. Per circa il 56,7% delle specie purtroppo non ci sono dati, esperti e finanziamenti sufficienti, per capire i trend delle popolazioni. Fra questi anche quelli relativi all’ape da miele per eccellenza, la Apis Mellifera, per la quale occorrono nuove ricerche proprio per distinguere le popolazioni selvatiche da quelle “addomesticate”.

Ma quali sono le cause di questo disastro? Le prime due sono da ricercarsi ovviamente nell’uso dei pesticidi e nell’inquinamento. Poi seguono i cambiamenti climatici, la malnutrizione degli insetti e le infezioni, come nel caso dell’Aethina Tumida, il coleottero degli Alveari. Il Ministero della Salute ha già trasmesso una nota agli Assessorati alla Sanità e ai Servizi Veterinari di tutte le Regioni e Province Autonome italiane, ordinando di mettere in atto il Piano di Sorveglianza che il Ministero della Salute ha concordato con il Centro di referenza nazionale per le malattie delle api. Esso prevede controlli clinici condotti su apiari stanziali, da individuarsi in modalità “random”, e in controlli clinici condotti su apiari selezionati sulla base del rischio, adottando i seguenti criteri: a) apiari che hanno effettuato attività di nomadismo fuori Regione o Provincia autonoma; b) apiari che ricevono materiale biologico (api regine, pacchi d’ape, ecc.) da altre Regioni e Province autonome; c) apiari ritenuti a rischio in funzione di altri criteri territoriali o produttivi.
Accanto al contesto istituzionale, numerose sono le iniziative di associazioni ed enti, a cui noi de Il Cambiamento abbiamo dato spazio recentemente (leggi articoli in fondo). Oggi segnaliamo il progetto di Life Gate, “Bee my Future. Le api non fanno solo il miele. Il nostro futuro dipende anche da loro”, che si prefigge l’obiettivo di contribuire alla tutela delle api sostenendo un allevamento che parte da cinque alveari, dati in gestione ad un apicoltore, appositamente selezionato dall’Associazione APAM – Associazione Produttori Apistici della Provincia di Milano, con esperienza decennale e con una profonda conoscenza dell’apicoltura. Il progetto prevede l’acquisto degli sciami e delle attrezzature necessarie (arnie e indumenti di protezione), l’assistenza tecnica all’apicoltore, la verifica e il monitoraggio delle attività e del loro stato di salute.L’apicoltore si occuperà dell’allevamento delle api ricevute in gestione e della produzione di miele in un contesto urbano, all’interno della provincia di Milano. Si seguiranno i principi guida del biologico, che prevedono la disposizione degli apiari in zone con colture e vegetazioni spontanee, che non confinano con aree trattate con pesticidi e lontane almeno mezzo chilometro da zone soggette a smog, utilizzando solamente materiali naturali.
L’iniziativa Bee my Future è aperta però anche a tutti coloro che vorranno dare il proprio sostegno. In che modo sarà possibile aderire? Adottando mille api, in un anno, e contribuendo così alla loro tutela e conservazione. A tutti i sostenitori LifeGate manderà un attestato personalizzato e 5 kg di miele di acacia, millefiori o tiglio prodotto dalle api.

articolo scritto da Massimo Nardi per Il Cambiamento http://www.ilcambiamento.it/estinzione/api.html

06 mercoledì Mag 2015

vivisezionenoIl 29 marzo 2014 è entrato in vigore il nuovo Decreto Legislativo n. 26/2014 sulla sperimentazione animale.

Anche se, purtroppo, non si tratta della fine della vivisezione, la nuova legge è frutto di una lunga battaglia per il recepimento della Direttiva europea 63/2010 che ci ha visto in prima linea per ottenere criteri maggiormente restrittivi rispetto al testo comunitario.

La Camera dei Deputati aveva approvato l’articolo 13 della Legge di delegazione europea che “restringeva” lasperimentazione animale e incentivava il ricorso ai metodi sostituivi di ricerca, ma il Governo, chiamato a legiferare su questo tema, ha cambiato le carte in tavola calpestando numerosi punti di tale articolo.

Nonostante la posizione presa dal Governo e la lobby vivisettoria che ha fatto di tutto per alimentare falsi stereotipi sull’utilità del modello animale, in Italia sono stati introdotti numerosi punti migliorativi rispetto alla Direttiva, infatti non sarà più possibile:

  • allevare cani, gatti e primati da laboratorio e, quindi, il famigerato “Green Hill” non potrà riaprire la sua fabbrica di beagle, a prescindere dall’esito del prossimo processo
  • effettuare esperimenti su scimmie antropomorfe (scimpanzè, oranghi, gorilla, gibboni, bonobo)
  • effettuare esperimenti per la produzione e il controllo di materiale bellico
  • effettuare esercitazioni su animali per la didattica, ad eccezione dei corsi universitari per la medicina veterinaria e il divieto si applica anche in scuole primarie e secondarie
  • riutilizzare animali in esperimenti con livello di dolore grave a partire dal 1° gennaio 2017
  • ignorare le sanzioni, ora più efficaci, per chi viola le norme minime della legge
  • Inoltre, seppure solo dal 1° gennaio 2017 e previo riconoscimento di metodi alternativi, saranno vietati i test per droghe, alcool, tabacco e per trapianti di organi animali
  • Confermati i divieti di test su cani e gatti randagi e su animali resi afoni, altrimenti utilizzabili secondo la direttiva europea
  • saranno finalmente promossi e adottati metodi alternativi/sostitutivi alla vivisezione poiché vi sarà un Fondo per il loro sviluppo, pari al 50 per cento del fondo di rotazione dello Stato di cui all’articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183.

La battaglia di questi anni ha dimostrato che avere una legge nazionale maggiormente restrittiva rispetto al testo comunitario non solo era doveroso, ma possibile!

La nuova legge deve essere il punto di partenza e non di arrivo: continueremo a lottare per ottenere  una ricerca nonviolenta e davvero utile, per salvare la vita di uomini e animali che a migliaia cadono ancora vittime di una falsa scienza.

Fonte: LAV

06 mercoledì Mag 2015

alberoexpo Dopo l’inaugurazione e la frenesia dei primi giorni, Expo 2015 è entrata nel vivo e le attività nell’area espositiva sono regolari. Come sta andando? Abbiamo fatto un giro tra i padiglioni per scoprire gli angoli più affascinanti dell’Esposizione Universale: cosa vedere, quali sono i luoghi da non perdere, cosa ancora non gira alla perfezione.

Ingresso di grande pathos con il Padiglione Zero progettato da Davide Rampello, direttore artistico, che porta la scritta Divinus Halitus Terrae. Nelle dodici stanze che compongono l’area, un percorso che invita a riflettere e ad emozionarsi sul rapporto tra esseri umani e cibo nella storia.
Tra i padiglioni senza dubbio più apprezzati dai visitatori quelli del Brasile e dell’Austria. Il primo, oltre all’orto all’aperto e alle mostre, propone un percorso attraverso una grande rete di corda tesa su cui camminare, di grande impatto e preso d’assalto non solo dai più piccoli. Il padiglione dell’Austria, apparentemente più contenuto all’esterno, ospita invece un vero e proprio bosco con le piante tipiche dei suoi territori montani.
Molti gli stati che puntano sull’interattività come Angola, Bielorussia, Kazakistan, Israele e Città del Vaticano (quest’ultimo ospita anche un’importante opera come l’Ultima Cena del Tintoretto). Spiccano in questo senso il Giappone, con una full immersion totale nella tradizione del Sol Levante che dura 50 minuti, e il Principato di Monaco, dove il pubblico può visitare l’acquario delle meduse o persino immergersi sott’acqua con un timone interattivo.
Anche la Regione Lombardia (la prima a scorgersi avvicinandosi dal Decumano al Padiglione Italia) propone un’esperienza attraverso una maschera 3D che mostra le più grandi attrazioni naturalistiche e culturali regionali. Il Padiglione Italia è il più ampio di tutta Expo e si divide in quattro ampi edifici dove ogni regione promuove i propri prodotti e i propri territori. Se la Calabria presenta un piccolo orto mediterraneo dove peperoncino e liquirizia non mancano, l’Alto Adige/Südtirol costruisce una casa sull’albero con scale molto strette, a ricordare i sentieri delle sue terre, in cui spesso si deve usare la cortesia di dare la precedenza prima di poter proseguire.
Il messaggio del Padiglione Svizzero è chiaro e dichiarato fin dalla facciata: Ce n’è per tutti? Con questa domanda, la Confederazione Elvetica ci invita a salire su una delle quattro torri, ognuna colma di un elemento importante per l’alimentazione del Paese. Di acqua, mele, caffè e sale sono stati riempiti i quattro silos e nessuna quantità rispetto a quella prestabilita verrà aggiunta durante i sei mesi. Ogni visitatore può accaparrarsi la quantità che desidera dei prodotti, ricordando però che, qualora eccedesse, probabilmente la quantità a disposizione non basterà a coprire tutto il periodo di Expo e che quindi chi interverrà dopo resterà senza la propria dose. Un modo efficace e d’impatto per parlare di sostenibilità.
Concentrano tutta la visita al proprio padiglione sui prodotti tipici il Belgio, con store di cioccolato e birra, la Spagna, la Francia e gli Stati Uniti, che accolgono i visitatori con un video del presidente Obama.
Apprezzata l’idea dell’Olanda di allestire un vero e proprio raduno musicale con tanto di food track e musica rock. Se Ecuador e Turkmenistan abbondano di colori, più concettuali Inghilterra, con l’alveare, installazione artistica di Wolfgang Buttress, e la Corea con l’emozionante installazione Hansik.
Presentano le proprie tradizioni gastronomiche e non solo attraverso la musica Irlanda e Ungheria: entrambi i padiglioni stanno infatti definendo un fitto programma concertistico che si terrà durante i prossimi sei mesi.
Di grande fascino i padiglioni mediorientali, che puntano sul sogno per avvicinare alla visita.
Paiono limitati i disagi con qualche struttura da terminare tra cui il temporary shop all’ingresso dell’esposizione e le ultime stanze di alcuni padiglioni. Il padiglione del Nepal, presentato come terminato da artigiani italiani dopo il terribile terremoto che ha costretto i lavoratori nepalesi a rientrare in patria, è invece ancora in buona parte da concludere. Problemi anche per i distributori gratuiti dell’acqua potabile: per la maggior parte non ancora funzionanti.
Conclude il Decumano il Padiglione Slow Food. Presa d’assalto l’area circostante l’Albero della Vita, che ogni ora propone uno spettacolo di musica, colore e giochi d’acqua.
Già attivi numerosi whorkshop, talk e mostre, ma è nelle prossime settimane che tutti i padiglioni saranno completamente operativi e inizieranno ognuno la propria programmazione delle attività.

di Simone Zeni
Fonte: http://milano.mentelocale.it/64681-milano-expo-2015-viaggio-padiglioni-cosa-vedere-cosa-non-va/

06 mercoledì Mag 2015

semi-palma-olioSalute e nutrizione, ambiente e foreste. Tutto quello che c’è da sapere sull’olio di palma, l’ingrediente più diffuso e controverso del momento.

Le importazioni di olio di palma in Italia hanno raggiunto un record storico nel 2014, registrando un aumento del 19 per cento rispetto all’anno precedente: 1,7 miliardi di chilogrammi. Un’invasione incomprensibile secondo Coldiretti (Confederazione nazionale dei coltivatori diretti) visto che il nostro Paese è la patria dell’olio extravergine di oliva e della dieta mediterranea.

Al di là del made in Italy, i dubbi dei consumatori legati alla diffusione dell’olio di palma sono sia di natura ambientale che nutrizionale. L’aumento esponenziale delle piantagioni sta alimentando la deforestazione in molte aree tropicali della Terra e gli studi scientifici sulle caratteristiche nutrizionali di questo olio vegetale sono contradditori. Proviamo a fare un po’ di chiarezza.

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COSA C’ENTRA L’OLIO DI PALMA CON LE FORESTE
È l’olio vegetale più usato al mondo. L’aumento del suo utilizzo nel settore alimentare ha causato molti problemi ambientali. Negli ultimi anni, infatti, il numero (e quindi l’estensione) delle piantagioni è cresciuto in modo esponenziale, a tutto danno delle foreste tropicali.Questo fenomeno si è sviluppato soprattutto in Indonesia e Malesia che, insieme, esportano circa il 90 per cento di tutto l’olio di palma presente sul mercato globale. Per cercare di arginare o quantomeno affrontare il problema, nel 2004 alcune aziende produttrici insieme a ong ambientaliste si sono sedute intorno alla Tavola rotonda per l’olio di palma sostenibile (Roundtable on sustainable palm oil, Rspo) per cercare di dar vita a uno standard ambientale minimo per la coltivazione della palma e porre un freno alla deforestazione e alla perdita di biodiversità.

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I lavori hanno portato alla stesura di otto principi da seguire e all’importazione in Europa del primo olio di palma certificato nel 2008, mentre nel 2012 circa il 14 per cento di tutto l’olio prodotto (oltre 54 milioni di tonnellate) portava il logo Rspo. Non tutti sono rimasti soddisfatti dai risultati della tavola rotonda, come sottolineato dal Wwf e da altre ong. Ci sono molti punti che devono essere migliorati, come quello sui pesticidi. Diserbanti e altre sostanze chimiche pericolose, infatti, continuano a essere utilizzati nelle piantagioni e non vige alcun controllo sulle emissioni di CO2 in atmosfera.

Per continuare a innovare e migliorare la certificazione Rspo e includere parametri che rendano le piantagioni e l’olio di palma davvero sostenibili, Wwf, Greenpeace, Rainforest Action Network e altre organizzazioni hanno dato vita al Palm oil innovation group (Poig), un gruppo di pressione con l’obiettivo di spingere governi e imprenditori a migliorare le leggi in vigore e le condizioni di lavoro e di sfruttamento delle risorse naturali. Perché l’unico, vero scopo è difendere i polmoni del pianeta: le foreste tropicali. Il consiglio più valido per i consumatori, dunque, è quello di cercare in etichetta i loghi e la certificazione Rspo che attestino la provenienza da gestione quantomeno responsabile dell’olio di palma contenuto nel prodotto.

L’OLIO DI PALMA DAL PUNTO DI VISTA NUTRIZIONALE

Da più parti vengono mosse critiche a questo ingrediente, accusato di essere largamente utilizzato dall’industria nonostante presenti un tenore di grassi saturi superiore a quello di molti altri oli. Ma l’olio di palma è dannoso per la salute? Per prima cosa va precisato che i grassi saturi sono ritenuti responsabili dell’insorgenza di malattie cardiovascolari, ma non sono tutti uguali. Si distinguono in saturi a catena corta (protettivi), media (neutri) e lunga (dannosi). Sono proprio questi ultimi ad aumentare il rischio di sviluppare ipertensione arteriosa, arteriosclerosi e colesterolemia. L’olio di palma, in effetti, contiene abbondante acido palmitico saturo a catena lunga, ma questa quota di grassi dannosi è affiancata da ben il 51,5 per cento di acidi grassi insaturi protettivi, cioè da circa il 39 per cento di monoinsaturi (acido oleico, tipico dell’olio di oliva) e dal 12 per cento di polinsaturi, soprattutto linoleico. Per fare un paragone, si pensi che il burro contiene solo il 21,6 per cento di acido palmitico e possiede gli acidi laurico e miristico, saturi a catena media, quindi neutri rispetto al rischio vascolare; più l’acido butirrico, a catena corta, che pur essendo saturo rientra tra i grassi protettivi. Ma è anche vero che il burro ha solo la metà (26,5 per cento) degli acidi grassi protettivi monoinsaturi dell’olio di palma (fonte Nico Valerio). L’olio di palma dunque, anche se contiene abbondante acido palmitico, grazie alla sua composizione complessiva, e quando non è idrogenato, non aumenterebbe il colesterolo totale. L’idrogenazione è quel processo in base al quale l’olio assume una consistenza solida e diventa più ricco di grassi saturi; l’olio di palma ha per sua natura una consistenza semisolida che ha l’effetto di rendere naturalmente cremosi i prodotti, per cui spesso non viene idrogenato. Allo stato naturale, grezzo, è inoltre ricco di vitamine, carotenoidi e polifenoli antiossidanti. I più recenti dati nutrizionali relativi a questo ingrediente rivelano che in cottura si comporta meglio dell’olio di semi e del burro perché è un grasso stabile alle alte temperature, anche alla frittura, e all’ossidazione. E allora perché il Consiglio superiore della sanità del Belgio raccomanda di limitarne l’impiego e l’assunzione per via dell’alto contenuto di acidi grassi saturi? Perché gli studi scientifici e nutrizionali sull’olio di palma sono controversi, danno risultati contradditori e non sono paragonabili tra loro in quanto non sempre riportano con precisione qual è la forma in cui è stato analizzato: se integrale, raffinato o frazionato. La sua migliore prestazione nutrizionale, infatti, l’olio di palma la dà quando è integrale, perché da grezzo è ricco di beta-carotene, di alfa-carotene e di vitamina E alfa-tocoferolo. Il prodotto raffinato, il più utilizzato dall’industria alimentare, offre molto poche delle proprietà dell’olio grezzo. Altra problematica legata all’olio di palma è quella legata alla contaminazione da residui di sostanze chimiche tossiche. L’olio di palma viene coltivato in Paesi che consentono ancora l’impiego di sostanze che in Italia e in Europa sono vietate, come ad esempio il ddt. Dai controlli effettuali finora non sono mai stati riscontrati livelli di residui superiori a quelli consentiti per legge, ma è possibile che i bambini possano essere più esposti degli adulti al cosiddetto “effetto accumulo” da pesticidi.

10 martedì Mar 2015

Lisboa_P_-_Electrico_28-1024x576Girare Lisbona con il tram è di sicuro un’idea che porta con sé tante ragioni. Garantisce innanzitutto al portafoglio un bel risparmio, all’ambiente regala una bella tregua e allo spirito permette di immergersi a tutti gli effetti con i costumitipici della città.

Dal finestrino del tram tradizionale, dalla carrozza giallo limone e dagli interni vintage in legno, non resta che godersi la bella Lisbona, città della luce e del cielo. Il tram per i portoghesi è un’istituzione. D’altronde Lisbona vi accoglie con i suoi colli (sette come quelli di Roma), con le sue salite e discese. Non si può di certo tracciare un itinerario soltanto pedonale. Il mezzo di trasporto urbano su rotaia è il consiglio numero uno per vivere una vacanza indimenticabile. Il biglietto giornaliero costa 6 euro. Il numero del tram che fa al caso vostro per un giro turistico coi fiocchi è il 28.

Tra le località imperdibili che vi farà osservare il 28 c’è di sicuro Praca Dom Pedro IV o, come è nota agli abitanti, il Rossio. Fontane, pavimento mosaicato a onde e negozi di cappelli sono soltanto alcune attrazioni must del quartiere. Tra lanterne in ferro battuto ed empori un’altra tappa da segnare in agenda è certamente Rua da Graca dalla quale arriverete alle guglie maestose della Igreja de Sao Vincente de Fora. Fantastici azulejos bianchi e blu del chiostro e un’atmosfera medievale vi faranno rivivere un tuffo nel passato. Ma dopo questo antipasto, la storia procede con la visita al meraviglioso Castello de Sao Jorge, custode della città con i suoi bastioni moreschi e la camera oscura nella Torre di Ulisse.

Altra meta sempre a bordo del 28  è Se’, la Cattedrale gotica dai grandi rosoni, incantevole per la sua imponenza. Per riposarvi dopo tanta cultura non resta che un po’ di shopping a Portas sol tra botteghe di coloratissime ceramiche artigianali. Il percorso del tram procede poi nel salotto della città ossia Baixa. Qui tra pavimenti mosaicati, tavolini all’aperto, botteghe d’altri tempi e il Museo del Design e della Moda ce n’è davvero per tutti i gusti. C’è Il grandioso Arco da Vitoria, c’è  Praca do Commercio con la statua equestre di Dom José I e la banchina del Tiago per passeggiare un po’ al sole. Ristorantini romantici e vie dei negozi vi aspettano nel quartiere delChiado, uno dei quartieri più alti di Lisbona. Tuttavia la zona non è a corto di monumenti, infatti,  vi è quello al centro della piazza dedicato a Camoes, poeta nazionale del Portogallo e poco distante il Miradouro de Santa Catarinadove i ragazzi si ritrovano a suonare la chitarra.

Non si può tornare a casa senza aver visto il neoclassico Palacio da Assembleia da Repubblica (il Parlamento portoghese) per una paseggiata tra il verde e le papere del Jardim da Estrela. E non può mancare una visita alla vicina Basilica costruita nel 1790 da Dona Maria I per l’erede maschio, con la cupola bianca e le torri campanarie gemelle, da cui si gode una vista spettacolare. Ogni volta che sarete stanchi non vi resta che gustare unpasteis de nata (tortino alla crema) come quello che propone la celebre Confiteria National di Praca da Figueira. Mentre per un aperitivo tutto portoghese non perdetevi il Ginjinha, il tipico liquore alle ciliegie di Lisbona.